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Maria è venuta in consultazione dicendo: “Mi sembra che la mia vita stia andando avanti senza di me.” Una frase che all’inizio può sembrare bizzarra, ma in realtà è un segno molto concreto di sofferenza, di "disallineamento" interno.
Maria, trentenne è fiorentina e vive da sei anni a Lione. Quando racconta del trasferimento, si percepisce che allora era carica di entusiasmo: la nuova città, il lavoro, l’idea di reinventarsi. E poi, quasi come una parentesi, dice: “E poi ho incontrato Paul.” Quella parentesi, in realtà, è diventata fondamentale per la sua vita francese. Si sono sposati, hanno costruito una quotidianità stabile, affettuosa e molto funzionante.
La difficoltà è arrivata dopo. Non con un trauma, non con un evento singolo, più come una crepa che si allarga lentamente. Lei stessa non sa esattamente quando sia iniziata. Forse quando era triste nel viaggio di rientro a Lione dalla sua Firenze. O quando ha iniziato ad avere quelle sensazioni strane, non veri attacchi di panico, ma momenti in cui la realtà sembrava scivolare un po’ di lato, come se fosse leggermente sfocata. Durano pochi secondi, ma sono bastati a farla spaventare.
La sua voce, quando ne parla, non è drammatica. È più come se fosse sorpresa da se stessa: “Non capisco perché succede. Non sono fatta così.”
Ed è proprio questo uno dei punti cruciali: il fatto che ciò che prova non corrisponde più alla persona che crede di essere. Il senso di identità, nel suo caso, non è tanto “rotto” quanto disallineato. Maria si sente sospesa tra due luoghi, due appartenenze, due versioni di sé. In Italia non si sente più davvero “di casa”, ma in Francia non si sente del tutto “arrivata”.
E poi c’è la questione dei figli. Il marito è pronto, lei no. Non “solo no”: un no pieno di inquietudine. Dice: “Come faccio a decidere dove costruire una vita nuova, se non riesco a capire dove ho lasciato la mia?”
Non c’è rifiuto materno, né un problema di coppia in senso profondo. C’è una paura più vasta, quasi identitaria: la paura di radicarsi in un posto mentre una parte di sé è ancora altrove.
Nel modo in cui parla, si vede che non ha mai davvero preso in considerazione la possibilità di essere una persona divisa, complessa, intrecciata a due mondi. Lei cerca un “posto giusto” in cui collocarsi, e il problema è proprio che quel posto non esiste come entità singola. Esiste la possibilità di essere entrambe le cose, ma questo per lei è un concetto ancora difficile da accettare.
Durante i colloqui, Maria è sempre molto rispettosa, molto ordinata nel modo di raccontarsi. Ma basta farle la domanda giusta, o toccare una corda emotiva e improvvisamente le si inumidiscono gli occhi, non perché stia “crollando”, ma perché è esausta da mesi di equilibrio precario. Dice spesso: “Mi manca qualcosa, ma non so cosa.”
Maria non si può definire depressa, dorme male dato che non sente di riposare davvero ed il suo rapporto con il cibo è "normale", ma ha sempre quella sensazione di vedere la sua vita come "sfocata".
Sembra sempre dovere scegliere dove vivere, Italia o Francia. Italia che è la sua terra con i genitori anziani e due fratelli. Sono sempre stati una famiglia unita ed hanno supportato Maria quando per lavoro si è trasferita a Lione. Lei rientra ogni due-tre mesi per qualche giorno a casa a Firenze ed è un bel momento per tutti, ritrovarsi ed abbracciarsi. Paul è stato accolto molto bene in famiglia, è un giovane simpatico e parla già bene l'italiano, il che lo rende ancor più amato da tutti loro. Peraltro la Francia le ha fatto conoscere Paul che è davvero l'uomo della sua vita e le consente di insegnare italiano all'Università, sua grande passione. Anche i familiari di Paul le vogliono bene ed hanno grande stima di lei.
Per molte sedute lavoriamo sul suo senso interno di continuità. Spesso non è necessario “scegliere” una patria emotiva: può averne due... L’appartenenza non è un luogo, ma un processo. E lei ascolta, riflette, porta ogni settimana un pezzetto nuovo di quel puzzle.
Adesso, dopo qualche mese, si sente meno angosciata. I risvegli notturni sono diminuiti, gli episodi di sfocatura della realtà sono più rari. E soprattutto, parla di sé con meno colpa. Non dice più “Dovrei essermi abituata ormai”, ma: “Sto imparando ad abitare entrambe le mie parti”.
Una svolta importante (e inaspettata) avviene un giorno quando sta per lasciare Firenze per tornare a Lione: nel salutare i familiari la mamma l'abbraccia e le dice quasi sottovoce che non avrebbe mai pensato di avere una figlia di cui andare così orgogliosa dopo..... Dopo che? Maria non capisce e chiede alla mamma. La mamma quasi in lacrime le confessa che prima di Maria aveva perso un bambino e per lei era stata un'esperienza traumatica che nessuno dei figli sapeva. Ora per Maria si apre una consapevolezza importante: che paura le ha passato "inconsciamente" sua mamma in riferimento ad una gravidanza? Maria ha bisogno di parlare di ciò per molte sedute ed ha l'impressione che qualcosa possa cambiare dentro di lei in riferimento a ciò che sente come un mancato desiderio di avere un bambino, che invece Paul desidera.
Ovviamente ne parla con Paul, che accoglie il racconto e la consapevolezza di lei come un passaggio decisivo per la serenità e "crescita" psicologica di Maria al di là dell'avere o meno un figlio.
Lavorare su questo aspetto porta Maria ad avere sempre meno quei momenti di "sfocatura", racconta in seduta un sogno in cui ha due gemelli e che devono decidere con Paul i nomi...
Ne è piacevomente sorpresa, anche se è consapevole che ha ancora bisogno di tempo per capire quanto è suo il desiderio di un figlio e quanto sente di volerlo per l'amore che ha nei confronti di Paul.
Il cammino è ancora aperto. Ma c’è una differenza netta tra la donna che è entrata la prima volta in seduta, tesa e trattenuta e quella che ora si concede di dire: “Forse posso stare dove sono, anche se non so ancora definirlo” e, clinicamente parlando, questo è un movimento enorme.
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