Il burnout lavorativo



Photo by Roland Kettenring
Negli ultimi anni sempre più persone che ho incontrato mi hanno raccontato di difficoltà lavorative legate alle relazioni con i capi o con i colleghi.
Sia ben inteso, non parlo delle "normali" difficoltà del lavoro, oggettive e spesso legate ai ritmi di lavoro sostenuti. Nemmeno le comuni antipatie e gelosie lavorative, fisiologiche in qualunque micro comunità quale può essere un ufficio o altro luogo di lavoro.
Mi riferisco a situazioni francamente di burnout lavorativo.
Il termine burnout viene da lontano: negli anni '70 Maslach e Freudenberger studiarono alcuni operatori di un reparto di Igiene Mentale che presentavano effetti di stress accentuato.
Allora si parlava di stress, termine molto in voga che stava ad indicare gli effetti, a volte anche gravi, che colpivano delle persone al lavoro per la fatica e per le difficili relazioni con gli altri colleghi.
Un po' alla volta ci si è resi conto che questo stress aveva però caratteristiche peculiari e venne studiato soprattutto nel personale che svolgeva le cosiddette "relazioni di aiuto" in costante contatto con altre persone in difficoltà, bisognose o in pericolo. Tanto per intenderci: medici e infermieri, assistenti sociali, poliziotti, vigili del fuoco ecc. Tutte professioni complesse che hanno a che fare con persone in stato di pericolo o difficoltà, paura ed angoscia.
Questi professionisti, all'inizio molto motivati e competenti, perdevano le loro capacità di intervento, erano nervose, stressate, negative. In una parola sola si "bruciavano"
Del resto è comprensibile che queste persone vadano incontro ad "esaurimento" per il loro lavoro. Non è certo come stare tranquilli in un ufficio con orari definiti, pausa caffè e week end sempre a casa. Con il passare degli anni però ci si è resi conto che il fenomeno del burnout colpiva anche persone che sembrava non potessero mai essere coinvolte date le condizioni lavorative normali e tutto sommato protette.
Per orientarsi nel fenomeno del burnout dobbiamo tenere in conto che è nella relazione con le persone che ci attorniano al lavoro l'indicatore più importante che può dirci se la persona andrà incontro a fenomeni di burnout. L'esperienza clinica mi ha mostrato che non sono i carichi di lavoro, la complessità del compito o l'affrontare nuove tecnologie l'innesco del burnout.
Semmai tali elementi sono il substrato sul quale si sovrappongono le relazioni conflittuali o meno con i colleghi di lavoro ed i capi. Ancora una volta l'esperienza mostra che se l'ambiente di lavoro non è conviviale, collaborativo, con quella generosità umana che ci fa stare bene assieme, allora vi è pericolo di burnout. Molte persone mi riferivano di difficoltà relazionali con colleghi protratte nel tempo. E, soprattutto, l'incapacità del loro capo di risolvere o almeno gestire tale conflitto. Un pò come dire che sia orizzontalmente che verticalmente lo stress era troppo. Questa è una classica condizione di pre-burnout, poi il protrarsi nel tempo fa esplodere la sofferenza.
Carlo lavora da sei anni a Milano come venditore in una importante concessionaria di auto e moto. E' un appassionato motociclista, felice di trattare anche quelle moto che ama tanto. Per quattro anni va contento al lavoro, è apprezzato dai clienti per la simpatia e competenza e va d'accordo con i colleghi. Il suo capo, ex corridore di rally è quasi un amico, tanto che spesso si ritrovano fuori del lavoro.
2017, riorganizzazione aziendale, molto spesso sinonimo di tagli al personale ed al budget: Carlo viene spostato dalle vendite al magazzino ricambi, alle vendite sono inseriti due giovani laureati (Carlo ha solo un diploma). Il suo capo viene spostato in una concessionaria dell'hinterland milanese da "risollevare" come vendite ed al suo posto è promosso un venditore senior della parte auto.
Carlo pur dispiaciuto non può che accettare tali cambiamenti, voluti dalla direzione centrale del marchio in Italia. Iniziano dei dissapori con il suo capo che ritiene il magazzino ricambi solo una piccola parte del fatturato della concessionaria e quindi nega ogni riconoscimento salariale al nostro. I due giovani venditori sembra facciano di tutto per rendersi antipatici. Sono sussiegosi e considerano le moto un peso per il marchio rispetto ai guadagni della vendita delle auto.
Carlo mi dice che ha sentito il "clima" della concessionaria cambiare, i numeri del budget e delle vendite diventano la bibbia cui tutti devono conformarsi. L'importante è vendere, a qualunque costo, il rapporto con il cliente diviene formale e occorre sempre fare in fretta, fare firmare i contratti in fretta, vendere in fretta... Ma i problemi sono solo all'inizio per Carlo. Un pomeriggio ha uno scontro con il suo capo che lo rimprovera di non essere abbastanza efficiente nel suo ruolo di capo magazziniere perché alcuni corrieri hanno ritardato le consegne per scioperi in Austria.
Carlo si sente accusato ingiustamente e avrebbe voglia di mollare tutto, ma non lavora certo per svago! Si susseguono mesi di episodi sgradevoli e ripicche tra i vari dipendenti, con un capo che ha come massima: «Si può fare sempre di più»
Com'erano belli i tempi in cui andava al lavoro volentieri, ora è totalmente demotivato e deluso, il clima della concessionaria è talmente cambiato che inizia a fare delle assenze per malattia. Il medico lo trova stressato e gli prescrive degli ansiolitici. Al ritorno al lavoro il suo capo lo attacca e l'accusa di essere un furbetto che fa la scena per non lavorare! Carlo stavolta risponde per le rime e poco dopo si ritrova con una lettera di richiamo da parte dell'azienda. Carlo si sente impotente, arrabbiato ed al contempo esaurito. Il medico gli prescrive altri giorni di malattia ed ipnotici dato che dorme male ma, soprattutto, gli dice che è in burnout. Carlo è sorpreso, non sa nemmeno bene cosa significhi, si documenta e deve riconoscere che è proprio vero: è "bruciato". Sicuramente vorrete sapere com'è finita: Carlo ha intrapreso un percorso con uno psicologo per affrontare questa sofferenza oltre a rivolgersi ad un avvocato del lavoro. Attualmente lavora in un motolavaggio (ne esistono alcuni a Milano), guadagna meno di prima ma ha a che fare quotidianamente con moto di tutti i tipi e con colleghi "malati" come lui di motori su due ruote. Pensate il suo capo viene sempre in moto da lontano, anche nelle fredde giornate milanesi, un "malato" anche lui!







Bravi, giovani e giustamente desiderosi di un lavoro qualificato


Incontro sempre più giovani italiani che si sono trasferiti tra Nizza, Antibes o Marsiglia per lavoro.
In zona la parte del leone la fa Amadeus, grande azienda con uffici di ricerca e sviluppo a Sophia-Antipolis, fornitrice di software per prenotazione ed emissione biglietti per compagnie aeree, ferroviarie e catene alberghiere che ha assunto tantissimi giovani e continua ad inserire neo-laureati in azienda.
Sono prevalentemente ingegneri informatici ma anche matematici e statistici, e provengono da tutte le parti d'Italia. Nel parco tecnologico di Sophia-Antipolis esistono altre realtà come laboratori di ricerca farmacologica o bio-medica che hanno al loro interno giovani dottorandi e ricercatori. Anche qui molti sono italiani. Ecco, mi colpisce che così tanti ragazzi preparati, volenterosi e disposti a mettersi in gioco, siano costretti a cercare un lavoro qualificato e con prospettive di sviluppo professionale, qui in Francia.
Di tutti questi giovani che ho conosciuto solo uno è riuscito, dopo alcuni anni a rientrare in Italia con un lavoro qualificato, la maggior parte di loro ha ben capito che dovrà rimanere in Francia molti anni oppure continuare all'estero che si tratti di Spagna, Inghilterra, Irlanda, Germania...
E' vero che occorre avere uno sguardo "internazionale", conoscere le lingue e non essere provinciali oltre che credere nell'Europa ma l'altra faccia della medaglia mostra una criticità ed un problema da troppi anni sottovalutato.
Qualche settimana fa in un breve viaggio nella "mia" Milano, ho approfittato per andare a salutare un caro amico che era anche il mio medico di base. Sta per andare in pensione dopo tanti anni di lavoro fatto con passione ed attenzione ai suoi pazienti. Mi raccontava sconsolato che nessuno prenderà il suo posto nell'ambulatorio dato che vi è una carenza di giovani medici. Mi ricordava che quando lui aveva iniziato la professione sembrava ci fossero troppi medici allora era stato introdotto l'esame di ammissione a medicina per selezionare i candidati. Ora, a distanza di non molti anni, si "scopre" che all'andare in pensione degli attuali medici senior sono troppo pochi i giovani medici usciti dalle università pronti per rimpiazzare i loro colleghi.
Ascoltarlo metteva i brividi, ma chi si occupa di programmazione sanitaria...?
Se state pensando quindi che i giovani medici troveranno subito lavoro in Italia vi sbagliate, i contratti sono sempre a tempo determinato e con stipendi troppo bassi per attrarre. Guarda caso la Francia approfitta di ciò ed attrae sempre più nostri giovani medici: vengono assunti con contratti a tempo indeterminato e giusti stipendi perché sono capaci ed apprezzati dato che le nostre scuole di specializzazione formano professionisti di valore.
Ancora una volta dobbiamo assistere alla migrazione per lavoro di tanti giovani di ogni regione d'Italia, che provengono da famiglie abbienti o proletarie, accomunati dal bisogno legittimo di trovare un lavoro adeguato agli studi fatti e, soprattutto, pagato il giusto.
Il centro studi e ricerche Idos di Roma ha rilevato che dal 2017 ben 250.000 italiani sono emigrati all'estero e secondo il Sole 24 ore più del 30% di loro è composto da laureati. Sono numeri sconfortanti oltre tutto i costi economici della formazione di tali giovani sono a carico dell'Italia ma la fruizione del loro potenziale avvantaggia altri paesi europei come la Francia.
Ammetto che tutto questo mi addolora, soprattutto perché so bene che in Italia ci sono risorse, competenze, capacità e creatività da vendere ma qualcosa si inceppa e fa girare a vuoto troppe persone. Non è mio compito analizzare le ragioni, ognuno di noi ha le sue risposte e sa bene perché questo si produce. Però seguire i TG italiani e leggere i giornali mette tristezza, di questo patrimonio culturale ed umano che se ne va fuori Italia si parla poco e quasi con fastidio, tanto, si sa, gli italiani si arrangiano. Già si arrangiano, siamo maestri in questo, ma protestare vivamente no?

PS In questi giorni la Francia è alle prese con le manifestazioni che avvengono in tutto il paese dei cosiddetti gilet gialli, persone che a motivo dell'aumento del carburante, soprattutto diesel, hanno iniziato a protestare contro il governo per una raffica di aumenti in atto o previsti a breve.
I manifestanti hanno ben capito che ancora una volta la fascia media di popolazione pagherà il prezzo più alto in termini di tasse dato che Macron, in assoluto calo di popolarità, ha ormai mostrato il suo vero volto di garante della finanza a scapito della borghesia e delle fasce povere della popolazione.
Cito queste manifestazioni "spontanee" perché trovo giusto che un popolo si ribelli a certe ingiustizie, e mi chiedo: perché gli italiani non protestano quando vedono i loro figli emigrare per trovare lavoro.
Lavoro che consente loro poi di comperare casa, sposarsi, fare figli fuori dal loro paese e, ovviamente, poi vivere la nostalgia della loro bella Italia...?!

Se volete leggere il comunicato stampa di Idos, cliccate il link seguente:




XVIII settimana della lingua italiana nel mondo

La locandina della XVIII settimana della lingua italiana nel mondo
Il blog "salute e benessere senza frontiere" è stato invitato alla conferenza di mercoledi 17 ottobre per presentarsi al pubblico di connazionali ed amici francesi presso il Consolato Generale Italiano di Nizza.
Desideriamo ringraziare il Console Generale di Nizza Raffaele De Benedictis e la Signora Paola per il cortese invito.
La serata si colloca all'interno della XVIII settimana della lingua italiana nel mondo, nello specifico sul tema dell'italiano e la rete, le reti per l'italiano. Tema di grande attualità, ampiamente dibattuto.
Il nostro blog ha per sottotitolo: "consigli pratici per gli italiani all'estero". Desideriamo contribuire a costruire una rete con indicazioni, indirizzi utili di specialisti medici e non solo, informazioni su tecniche inerenti il benessere psico-fisico e la creatività. Anche interviste a personaggi noti e meno noti che siano chef, artisti, Maestri di arti marziali o allenatori sportivi. Un blog di servizio alla numerosa comunità italiana della costa azzurra, che una volta era composta soprattutto da pensionati e residenti che sfruttavano la mitezza del cima. Ora abbiamo tantissimi giovani laureati in discipline tecniche, ricercatori, professionisti preparati che hanno dovuto lasciare il nostro bel paese alla ricerca di un'opportunità lavorativa soddisfacente. Per non parlare della nutrita schiera di persone che lavorano nel circuito di ristoranti e locali italiani, sempre più apprezzati dalla clientela francese.
Il blog ha bisogno del contributo di chi avrà voglia di fornire indicazioni, recensioni, notizie, per crescere e diventare ancor più al servizio della comunità, non solo italiana...

https://consnizza.esteri.it/consolato_nizza/it/la_comunicazione/dal_consolato/2018/10/xviii-settimana-della-lingua-italiana.html






Narcisisti, amarli o odiarli...?



Conosciamo tutti delle persone narcisiste, è difficile non vederle.
Sempre al centro dell'attenzione, sicure di se, arroganti, determinate e simpatiche per forza...!
Il narcisista ha bisogno di un pubblico, deve fare il suo show e pretende gli applausi finali.
Sovente si esprime con linguaggio colorito se non volgare ed è certo di riscuotere ammirazione in che lo ascolta per la sua superiorità intellettuale.
Se uomo potrebbe anche esibire muscoli e tatuaggi da guerriero, comportarsi cioè da "maschio alfa". 
Se donna, vestirsi in modo provocante e sensuale, per attirare ancor di più lo sguardo degli uomini e l'invidia delle donne.
E' innegabile che all'inizio una persona narcisista piace, è simpatica è un "animale sociale", estroverso e trascinatore. Spesso è una persona intelligente quindi può ben utilizzare il linguaggio e la sua cultura per affascinare gli altri. 
I cosiddetti reality sono il perfetto palcoscenico per tali persone, uomini e donne, non si spiegherebbe altrimenti il gran numero di stagioni di programmi che possiamo trovare alla tv in tutti i paesi europei e non solo.
I reality sono lo strumento perfetto per mostrare dei narcisisti all'opera, sfide, baruffe, amorazzi e congiure tra uomini e donne per apparire e vincere in notorietà e fare salire l'audience. Dapprima i personaggi sono amati e seguiti quasi morbosamente, poi nella stragrande maggioranza dei casi "esplodono" in litigi, pianti, parolacce e vengono di conseguenza esclusi e lasciano il reality affranti.
Questa è l'essenza dei reality, moderno colosseo in cui i gladiatori-narcisi combattono ed alla fine soccombono tra le invettive del pubblico televisivo. Quasi ogni puntate prevede che qualcuno dei partecipanti vada in crisi, si comporti male o esploda a piangere, così il pubblico resta incollato al televisore per vedere sadicamente la fine del malcapitato.
Un ulteriore campo in cui i narcisisti proliferano è nei social media, in primis Facebook. Umberto Eco ha avuto parole pesanti per le troppe persone che usano e, soprattutto abusano, di tali strumenti, egli scrive: 

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».  

Se ad imbecilli sostituiamo narcisisti, credo che il quadro sia più chiaro. Troppe persone scrivono, postano foto, selfie e fanno commenti spinti dal loro narcisismo e spesso i commenti scadono nell'invettiva e nell'offesa...
Riassumendo possiamo dire che così come il narcisista velocemente si guadagna simpatia e consenso da parte degli altri, altrettanto velocemente si instaura ostilità nei suoi confronti e le persone si allontanano.
Questo soprattutto perché il narcisista è anche un manipolatore ed alla lunga tale comportamento di sicuro darà fastidio e sarà chiaro essere a solo vantaggio del narcisista. 
Vi chiederete: ma il narcisista si accorge di ciò o ne è totalmente inconsapevole?
Nella stragrande maggioranza dei casi agisce così perché si tratta della sua personalità e non gli è possibile "vedere" in azione tale meccanismo psicologico, altrimenti potrebbe evitare la fine ingloriosa della sua notorietà ed il compatimento.
Ma non sentiamoci troppo in colpa, a tutti noi è capitato di conoscere e frequentare anche per lungo tempo dei narcisisti, poi però ce ne siamo accorti e abbiamo preso le distanze, se non abbiamo avuto addirittura uno scontro con tali persone.
Ricordo ancora le parole di un professore a Padova, ci diceva che il male della contemporaneità è proprio il narcisismo. Parole sagge, pronunciate tanti anni fa...!




La terapia individuale o di coppia

Roberto è convinto che alcune vicende familiari del suo passato lo hanno turbato e gli hanno lasciato delle fragilità emotive. Non si è mai sentito di affrontare tutto ciò negli anni ma da qualche mese ha conosciuto una ragazza, di cui è innamorato e sente giunto il momento di iniziare una psicoterapia. 
E' implicito in ciò il seguente ragionamento: ho nella mia storia personale delle vicende che mi hanno fatto soffrire ma è giunto il tempo di affrontare i miei fantasmi per potere vivere appieno la mia relazione con Carmen. Come dire: meglio tardi che mai, ma gli esseri umani sono fatti così...
Questa è una "classica" domanda di terapia che può ricevere uno psicologo magari come inizio di una psicoterapia.
Però le cose possono complicarsi: Roberto racconta che sta bene con Carmen, entrambi gioiscono dell'essersi incontrati, oltretutto in terra straniera (guarda caso in Francia) e stanno pensando entro pochi mesi di affittare un appartamentino e andare a convivere.
Roberto, pur convinto di "dovere guardare" dentro di sé vorrebbe che anche Carmen partecipasse ai colloqui, dato che talvolta non si "capiscono" ed hanno momenti di freddezza, superati poi per l'amore che sentono l'uno per l'altra.
Ora la domanda di Roberto si articola diversamente, non c'è solo lui che chiede di fare dei colloqui, vorrebbe coinvolgere anche Carmen, che però sa non essere disposta a recarsi da uno psicologo per timore e vergogna.
La posizione dello psicologo è chiara e netta: se una persona non se la sente di partecipare va assolutamente rispettata la sua volontà, pur consapevoli di eventuali pregiudizi e timori.
Roberto chiede anche allo psicologo di "convocare" Carmen (a fin di bene ovviamente!) ma il terapeuta lo invita, all'interno della coppia a porre la questione come un proprio desiderio o bisogno, senza forzare Carmen, tanto in questo modo sarebbe solo inutile e fonte di ulteriore diffidenza.
Roberto per alcuni mesi viene da solo ai colloqui pur occupando gran parte della seduta nel racconto della relazione con Carmen. Spesso si lamenta che la sua ragazza proprio non lo vuole accompagnare in seduta perché è convinto che una "terapia di coppia" sarebbe molto meglio per loro e cerca di "forzare" lo psicologo a vedersi tutti e tre assieme.
In queste situazioni mi oriento così: ogni caso è a sé, ritengo non esista una soluzione giusta ed una sbagliata. Lavoro con la persona che mi ha chiesto i colloqui, cerco poi di sondare la disponibilità del partner e in caso negativo prendo atto di ciò. Se il partner si rivela possibilista, con l'assenso della persona che è già in cura, fisso un colloquio che potrebbe essere individuale o di coppia se le persone, ovviamente, sono concordi.
Questo passaggio potrebbe essere preliminare ad un cambiamento di setting quindi trasformare la psicoterapia da individuale a terapia di coppia, oppure lasciare invariato il quadro clinico.
Se siete curiosi vi dico che Roberto continua il suo percorso individuale dato che Carmen, sino ad oggi, non ha voluto seguirlo in seduta.
Vedremo poi...









Gli attacchi di panico


         
Carlo sale in macchina per tornare a casa dal liceo di Milano ove insegna come supplente di latino e greco. Sta per avviare l'auto quando si rende conto che il suo cuore va a mille e quasi gli manca il respiro.
Cerca di calmarsi, è completamente sudato, vorrebbe uscire dall'auto per chiedere aiuto ma è come "bloccato", in preda ad un'ansia smisurata e, apparentemente, senza motivo.
Cerca di respirare lentamente ma con scarsi risultati, si sente immerso in una sensazione di impotenza che lo spaventa tantissimo.
Dopo alcuni minuti, che a lui sono sembrati ore, un collega si avvicina alla macchina, intuisce che qualcosa non va e dopo avere aperto la portiera gli parla e tenta di rassicurarlo...
Poco alla volta Carlo sembra riprendere il controllo su di sé, il cuore rallenta il suo battito e il sudore si asciuga. Le parole del collega sembrano averlo riportato alla vita!
Carlo dopo tale episodio si è rivolto al suo medico di base per cercare di capire cosa gli era successo, ed il sanitario, attento e preparato, dopo avere escluso evidenze mediche, ha parlato di attacco di panico ed anziché prescrivere i soliti ansiolitici gli ha suggerito di consultare uno psicologo per affrontare tale sofferenza.
L'attacco di panico può accadere a ciascuno di noi, senza predilezione di età, sesso o che,  e sembra essere in gran aumento nella nostra epoca. 
Potremmo descriverlo come un subitaneo impatto con il terrore, un sentimento di impotenza che ci annienta, l'idea di "essere perduti".
La psicoanalisi ha molto studiato l'attacco di panico e colto nella difficoltà della persona che ha tale sofferenza l'impossibilità di soddisfare aspettative, aspirazioni, obiettivi di altri o che egli stesso si prefigge al punto da non ascoltare e considerare i propri bisogni, desideri e … limiti!
Scrivevo prima che tale sofferenza è sicuramente in grande aumento nel nostro tempo: ciò darebbe corpo all'interpretazione che se le aspettative sociali, lavorative, di performance dei nostri anni sono sempre più elevate, molte persone si trovano in conflitto tra ciò che la società esige loro ed i propri desideri e le proprie aspettative. Possiamo leggere l'attacco di panico come una sofferenza, un conflitto tra la persona e la pressione della società. La persona cerca di adeguarsi, accelera, stringe i denti e non ascolta i propri desideri profondi o sacrifica quanto di più intimo ha in se. L'attacco di panico lo pietrifica, lo spaventa e gli ricorda che prima ci sono le sue istanze emotive e sociali, poi le aspettative della società.
Il nostro Carlo intraprende un percorso di psicoterapia ed in tempi brevi mette a fuoco l'aspetto conflittuale tra il diventare ciò che i genitori (pur legittimamente) gli chiedono, ovvero essere un bravo insegnante di latino e greco di un liceo milanese, dato che i familiari hanno fatto tanti sacrifici per farlo studiare (è figlio unico) ed un profondo desiderio di recarsi a fare l'insegnante in sud America, con un'associazione che ha conosciuto un anno prima.
Dare ascolto ai genitori, che ama tantissimo, o dare ascolto a Carlo?
L'attacco di panico colpisce come un fulmine, non si può aspettare altro tempo, occorre capire cosa è in gioco per la persona, senza ipocrisie e false soluzioni.
Carlo da qualche anno è in Ecuador, a Quito, in una scuola ove insegna la lingua italiana a bambini e ragazzi. Ogni tanto facciamo ancora una chiaccherata, magia di Skype che ci permette di parlare e vederci pur essendo così lontani.

Photo by Niklas Hamann on Unsplash



Salute e benessere senza frontiere

   
Dal mese di giugno con l'amica Caterina Luchetti abbiamo messo on-line un Blog che abbiamo chiamato "Salute e benessere senza frontiere". A qualcuno potrebbe apparire pretenzioso ma il nostro intendimento è quello di fornire consigli, suggerimenti e idee attorno al tema della salute, sia negli aspetti medici che nell'accezione più estesa di "benessere".
Benessere che crediamo fortemente legato ad uno stile quanto più possibile di vita sana, attività fisica commisurata all'età ed alla tipologia fisica, ricerca di spazi ricreativi e creativi, soprattutto in contatto con altre persone. Crediamo altresì fortemente che essendo l'essere umano "animale sociale", ha bisogno per stare bene e dare senso alla propria esistenza di legami sociali ed affettivi con altre persone.
Senza frontiere: vivere a Nizza significa essere a pochi chilometri dall'Italia e potere usufruire di questa posizione a cavallo tra i due paesi, paesi per molti versi simili ma al contempo diversi per le proprie storie. Senza frontiere soprattutto per non volere isolare noi italiani dal contesto culturale del paese che ci accoglie e consapevoli che la Francia ha offerto a molti di noi opportunità di lavoro e di vita che nella spendida Italia avevamo difficoltà a realizzare.
Se avrete la pazienza di scorrere il Blog troverete oltre ad una breve presentazione di Caterina e mia alcune sezioni su benessere, corpo e spirito, animali e psicologia-psicoterapia.
Il tema del benessere è ampio e si può osservare da diverse angolazioni, con consigli e piccole astuzie, la sezione corpo e spirito è curata da Caterina esperta e "Maestra" di diverse discipline di provenienza orientale o cinese. Nella sezione animali ci avvaliamo soprattutto della preziosa collaborazione di Laura Cutullo, veterinaria milanese, che ha sempre seguito i nostri due gatti Silver e Charlie anche quando sono andati oltre frontiera..!
Psicologia e psicoterapia, da me curata, è la sezione rivolta ad approfondire e conoscere alcune tematiche Psi.
Abbiamo poi alcune rubriche: il Qi Gong, curata da Caterina, le ricette del mese dato che il cibo è (e dovrebbe essere) piacere e salute al contempo ed il personaggio del mese. Abbiamo iniziato con l'intervista ad un visionario Chef giapponese (senza frontiere...) per poi proseguire con altri Chef italiani e non, "sacerdoti" dei riti legati al cibo ed al gusto.
A mano a mano si potranno aggiungere altri collaboratori con nuove rubriche o contributi originali sempre legati al tema centrale della salute e del benessere.
Aggiungeremo interviste di personaggi legati al mondo dello sport, al benessere, all'arte ed alla cultura. Al momento siamo "giovani" ma appena possibile vorremmo avere partenariati con altre realtà del territorio, Blog, Associazioni, Web Magazine e Radio della Costa Azzurra per fornire un servizio di qualità ai nostri lettori.
Caterina ed io ci siamo incontrati per caso a Nizza ed il Blog è nato dal desiderio di entrambi dato che:

« Le montagne stanno ferme, ma gli uomini si incontrano » proverbio russo.

Buona lettura, da Massimo e Caterina.

https://senzafrontierebenessere.com/

Crediti immagine: ©Rapahel Perez
Utilizzo volutamente un'immagine del pittore naif Raphael Perez in occasione della ricorrenza dell'attentato di Nizza del 14 luglio 2016.
Si è scritto molto, polemizzato, analizzato il fenomeno a livello nazionale ed europeo, si è parlato di guerra di religione (come se non fossero bastate le varie Crociate) per cercare di comprendere il fenomeno terroristico. Vorrei porre attenzione alle coordinate emotive che tali eventi scatenano in tutti noi, pur con reazioni comportamentali diverse tra loro. Alcune persone volevano a tutti i costi vedere i luoghi dell'attentato, fotografare, mentre altre nemmeno potevano pensare di passare ove si era consumata una tale strage.
Tali eventi sono definiti dalla psicologia traumatici. Una definizione appropriata recita:

"Possiamo definire traumatico un evento che una persona ha vissuto, cui ha assistito o si è confrontata e che ha implicato morte, rischio di morte, gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o altrui. Non solo, la reazione della persona a tale evento ha comportato grande paura, orrore ed un sentimento di impotenza."

La definizione coniuga due aspetti del fenomeno, l'evento terribile in sé e la reazione soggettiva della persona a tale evento. Tutto ciò peraltro accade in un tempo breve ed è come se non fossimo in grado di mentalizzare e "digerire" ciò che si produce. La realtà è traumatica, violenta e ci sentiamo impotenti e soverchiati da quanto accade, con terrore di essere feriti o di potere morire.
E' innegabile che l'attentato di Nizza, come molti altri prima e, purtroppo successivi, è stato un evento traumatico collettivo. Nizza è sempre stata percepita come città prevalentemente votata al turismo, al divertimento "invasa" da tantissimi italiani residenti tra pensionati e giovani laureati impiegati nelle aziende locali.
Nemmeno lontanamente potevamo avere la percezione del pericolo di un attentato qui a Nizza, anche se la Francia era già stata duramente colpita da simili tragici eventi. Nizza aveva "la guardia abbassata" le persone pensavano solo a divertirsi, cercare uno spazio per vedere i fuochi alla sera, bere, cantare e divertirsi.
A posteriori tutto questo mette il brivido alla schiena, io stesso temevo per i festeggiamenti a Parigi, di certo obiettivo percepito più "sensibile".
Il resto è purtroppo triste cronaca, un uomo solo, psicologicamente instabile, con figli (!) ha programmato e realizzato tale attentato artigianale, con un camion vuoto (niente esplosivi) e con armi finte che gli avevano venduto degli albanesi...
Ha scorrazzato per oltre un chilometro e mezzo a zig-zag tra la folla sulla Promenade des Anglais e investito quante più persone poteva.
Il sentimento prevalente era infatti di sgomento, per tale azione, totalmente inaspettata e drammaticamente efficace.
Per settimane l'aspetto choccante era proprio lo sgomento, poi il lutto ha soverchiato tutte le altre emozioni. Lutto che si materializzava in fiori, candele, bigliettini, manifestazioni spontanee di persone per commemorare e pregare. 
Sappiamo che gli attentatori oltre al danno umano (morti e feriti) contano sulla paura come effetto moltiplicatore di tali eventi. E la paura ancora adesso aleggia per Nizza, martedi scorso in Cours Saleya, affollata di persone per una partita di calcio dei mondiali in corso, a seguito di un forte ed inaspettato rumore la folla ha iniziato a scappare ed ha travolto tavoli e sedie: risultato 30 feriti.
La paura è ancora riscontrabile nei discorsi di molte persone, timorose di andare in luoghi aperti come al chiuso, inquiete e reattive appena sentono una sirena o rumori forti di qualsiasi genere.
Non è mai scomparso anche un altro sentimento: la rabbia, rivolta soprattutto alla moltitudine di "arabi" francesi, che peraltro hanno pagato un triste tributo di morti proprio per mano del loro "connazionale".
Ad oggi però dobbiamo dire sinceramente che la città globalmente ha reagito, anche alla paura, certo il tempo attenua ogni dramma e l'elaborazione del lutto passa proprio per una presa di distanza dalle emozioni violente iniziali. 
Mi piace concludere con la citazione freudiana che l'Eros vuole a tutti i costi prevalere sulla paura e la morte, Thanatos

Attentato di Nizza : 86 morti, di cui 6 italiani e 200 feriti di cui 50 gravi 


La scuola di Psicoterapia Relazionale Integrata




La scuola di Psicoterapia Relazionale Integrata nasce dal desiderio dell'amico e collega Roberto Carnevali di Milano, attivo come terapeuta (individuale e di gruppo), scrittore ed artista in senso lato.
Ha voluto attorno a se molti colleghi per costituire un corpo docente di qualità per formare giovani psicologi preparati ad affrontare le sfide della psicopatologia del nostro tempo.
Mi ha voluto con se, lo ringrazio e ne sono felice, per l'insegnamento di Psicologia Transculturale.
La psicologia transculturale è una prospettiva che usa le culture di appartenenza come chiave di lettura dei comportamenti delle persone. 
In questo senso la psicologia transculturale è una psicologia di "frontiera", ha a che fare con gli studi sull'identità, sulla vita sociale, sull'impatto della cosiddetta "globalizzazione" e l'uso massiccio di Internet e dei Social media, che avvicinano persone all'altro capo del mondo ma rendono sempre più spesso gli incontri "virtuali".
Se la natura dell'uomo è la sua cultura (Arnold Gehlen), occorre essere consapevoli che proprio le valenze culturali possono essere la fonte di avvicinamenti, riconoscimenti reciproci e rafforzamento dei legami sociali oppure, al contrario, diffidenza, evitamento se non scontro aperto.  
Balza agli occhi l'importanza degli studi transculturali per cercare di comprendere la portata epocale dei fenomeni migratori trans-nazionali.
La possibilità di incontrare o collidere con una diversa cultura è un fenomeno estremamente accentuato, che sul versante dello scontro culturale è addirittura vissuto da molti come "guerra" di religioni.
Tutto ciò può essere percepito come un attacco al Sè, che comporta fenomeni di rigetto delle radici culturali "dell'Altro" gruppo, vissuto quindi come "ostile" ed aggressivo.
L'allontanamento dal proprio paese, voluto o forzato, attiva sentimenti di nostalgia, tradimento e lutto che possono avere risvolti francamente patologici, anche aggressivi, nei confronti del paese ospitante.
La psicologia transculturale cerca di analizzare profondamente i fattori che possono favorire l'integrazione tra le culture, in modo che nessuna prevalga, ma, come scrive Georges Devereux:

"Dopo tutto, tanti i popoli quanto le culture si assomigliano più che non si differenziano, per la semplice ragione che tutti gli esseri umani sono innanzitutto esseri umani, e solo dopo eskimesi o bantou, e che tutte le culture sono degli autentici campioni della Cultura definita come un prodotto umano caratteristico della Specie; sono solo secondariamente dei campioni di una area culturale specifica".
Vi invito a dare un'occhiata al sito della scuola e scorrere l'elenco dei libri, trovo siano davvero interessanti e ben fruibili sia da un lettore specializzato che da una persona curiosa dei temi della modernità.

Che differenza c'è tra psicologo, psichiatra, psicoterapeuta e psicoanalista?



Spesso mi viene chiesto che differenza c'è tra psicologo, psichiatra, psicoterapeuta e psicoanalista. Iniziano tutti per psi, ma le differenze sono importanti e da tenere in conto quando si consulta uno di questi specialisti.
Partiamo dallo psicologo: pensate che solo negli anni settanta erano stati attivati due corsi di laurea (quadriennali) a Padova e Roma, con i primi laureati nell'anno 1975.
Abbiamo avuto così dei laureati in psicologia ma nessuna legge dello Stato ne riconosceva e tutelava l'operato, soprattutto in un campo delicato come quello della salute.
La legge di Ordinamento della professione di psicologo (Legge 56/89) vide la luce solo nel febbraio 1989, grazie all'impegno ed alla passione di Adriano Ossicini, psichiatra, docente universitario di psicologia all'Università la Sapienza di Roma e Senatore della Repubblica, eletto come indipendente nelle liste del PCI.
Da quel momento dirsi psicologo aveva senso all'interno di una legge apposita che (finalmente) dava un quadro normativo certo con responsabilità e, come si dice, onori ed oneri.
Con la riforme dell'ordinamento universitario anche psicologia si è trasformata, ora è uno dei corsi di laurea quinquennali (o meglio 3+2) offerti dall'Università italiana, corsi attivi in tutte le città principali della penisola.
Torniamo alle definizioni: terminato il corso quinquennale di psicologia si è dottori in psicologia, ma per esercitare come psicologi occorre seguire un tirocinio post-lauream di un anno, poi iscriversi all'Esame di Stato che consiste in due prove scritte più un elaborato su un caso clinico e, per finire, un colloquio.
L'Esame di Stato, che consente l'abilitazione all'esercizio della professione, non è per niente facile, occorre studiare molto e disporsi alla sequenza di scritti e ad un esame orale che verte su molti argomenti.
Lo so bene dato che sono stato commissario per gli Esami di Stato di psicologia diverse volte all'Università Bicocca di Milano.
Ho visto centinaia di giovani colleghe e colleghi, giungere stressati e in debito di sonno agli Esami di Stato, spremuti come limoni... Com'è nel mio animo, ne ho aiutati molti, davvero preparati, ma totalmente in "palla" soprattutto all'ultima importante prova, quella orale!
Ultimo adempimento per dirsi psicologo è iscriversi all'Ordine della Regione di appartenenza.
Cosa fa lo psicologo: "Lo psicologo è un professionista che opera per favorire il benessere delle persone, dei gruppi, degli organismi sociali e della comunità. Si occupa di psicopatologia, ma non solo. Altre importanti aree di intervento riguardano una molteplicità di situazioni, personali e relazionali, che possono essere fonte di sofferenza e di disagio", citazione tratta dal sito dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia. 
Lo psichiatra è necessariamente un medico, abilitato all'esercizio della professione, che intraprende il corso quinquennale di specializzazione in psichiatria. Ha conoscenze sia di tipo psicologico che farmacologiche, e può prescrivere farmaci (in quanto medico) compresi gli psicofarmaci. La maggior parte degli psichiatri lavora negli ospedali e nelle strutture ambulatoriali del territorio, nelle cliniche per malattie nervose e mentali o in strutture assistenziali per anziani, malati di Alzheimer ecc.
Lo psicoterapeuta è un laureato in psicologia o medicina, iscritto anche al rispettivo ordine professionale, che intraprende un corso di specializzazione in psicoterapia, riconosciuto dallo Stato, della durata di quattro anni. Quindi medici e psicologi dopo avere seguito e superato corsi di specializzazione in psicoterapia, possono dirsi psicoterapeuti. Lo psicoterapeuta medico potrà anche prescrivere farmaci, cosa che non può fare lo psicoterapeuta-psicologo.
Infine lo psicoanalista, che può essere di formazione medica o meno, segue un percorso di formazione che passa anche attraverso anni di analisi personale e supervisioni poi, a conclusione di un lungo iter, può dirsi psicoanalista. Non si può parlare di psicoanalisi senza citare Freud, il grande scopritore dell'inconscio. Intendiamoci l'inconscio era già stato ipotizzato dai poeti e dai filosofi, ma l'utilizzo della parola per curare, la psicoanalisi appunto, è la geniale scoperta di Freud.


Monaco Italia Magazine: intervista sulla nostalgia



Italiani all'Estero, Nostalgia : Come Superarla? Ft.Slawa Bowman
Ft.Slawa Bowman -unsplash

di Angela Valenti Durazzo – La nostalgia e la lontananza da casa. Nelle località francesi a pochi chilometri dal confine italiano, nella sfavillante ed esclusiva Monte Carlo, nelle apprezzatissime città turistiche di Nizza, Cannes ecc. Non si può dire che gli italiani che scelgono di trasferirsi a Monte Carlo ed in Costa Azzurra rispecchino la figura del classico emigrante, alle prese spesso con giornate fredde e piovose e con un paesaggio e consuetudini poco mediterranee.
Niente a che vedere insomma con quanto prova il protagonista del film “Quo Vado”di Checco Zalone, pugliese emigrato in Norvegia che guardando alla tv Albano e Romina tornati nuovamente a cantare assieme, esclama commosso “io qua mi sono perso tutto questo!” per poi concludere “La madre terra Italia comincia a far sentire il suo richiamo”.
Il suo richiamo, infatti, la madre terra Italia lo fa sentire un po’ da per tutto nonostante la gran parte delle persone siano soddisfatte della propria scelta.
A gennaio 2017, gli iscritti all’AIRE, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, risultavano a livello mondiale 4,9milioni (il 3,3% in più rispetto al 2016). Circa il 41 per cento di questi tra i 25 e 39 anni.
Si parla spesso di fuga di cervelli ed in generale di chi trova una sistemazione stabile oltre confine. Come si rapportano dunque queste persone con la propria patria? Quanto e quando sentono nostalgia per l’Italia? Lo abbiamo chiesto a Massimo Felici, psicologo e psicoterapeuta che vive e lavora a Nizza.
Nel mio lavoro – ci ha spiegato – ho incontrato poche persone che non vogliono assolutamente tornare indietro, girerebbero tutto il mondo senza alcun problema e non sembrano avere nostalgia di casa, ma nella maggior parte dei casi le persone esprimono nostalgia della loro città, della loro casa, degli affetti rimasti in Italia”.
Dottor Felici da chi ed in quali occasioni si fa sentire la nostalgia?
La nostalgia viene avvertita da persone che nella gran parte dei casi sono più che convinte della loro scelta avendo magari un buon lavoro, un buono stipendio ed una vita soddisfacente qui. Tanti giovani fanno un colloquio in Francia, dopo 15 giorni magari vengono assunti, ma dentro di loro l’avvertono come una soluzione temporanea. “Sto qui un paio d’anni e poi torno a casa” è il pensiero di molti. Ma dopo due o tre anni si rendono conto della difficoltà di tornare indietro essendo oramai ben sistemati. E’ in quel momento che avviene il distacco ed anche la consapevolezza di essersi incamminati in un’autostrada che dall’Italia portava alla Francia e che in seguito potrebbe portare anche in altri Paesi Europei. Superata una certa frontiera, infatti, il mondo si apre.
Ed è in questa fase che può subentrare la nostalgia?
E’ in questa fase che realizzo che sono qua e devo scegliere se mettere radici, di conseguenza può intervenire un momento di crisi nonostante si tratti di persone in gamba che però non sono a casa loro, quindi si devono ambientare. Occorre imparare bene il francese poiché molti sul posto di lavoro parlano in inglese; i legami sentimentali a distanza diventano difficili da gestire ed entrano in crisi e dall’altro lato creare delle nuove relazioni non è così scontato ed immediato per tutti. Inoltre avere trovato rapidamente un posto di lavoro ed uno stipendio comporta un’accelerazione dei tempi: si compra casa, ci si sposa, si fanno i figli e quindi cambia tutto.
Tutti ad un certo momento proviamo nostalgia?
Per quello che ho potuto osservare solo una piccola parte fa saltare i ponti con la propria terra. Queste persone negano la nostalgia, si tratta per lo più di un atteggiamento difensivo. La gran parte invece sente la mancanza della propria città, della casa, dei parenti, del cibo, degli amici d’infanzia.
Cosa occorre fare a questo punto?
La nostalgia va elaborata se no può togliere energie ed annichilire la persona. Se non viene elaborata è come un elastico che si tende e poi torna indietro, quindi fa male. Occorre allora affrontare il punto e costruire dei legami, metaforicamente costruire la propria casa. La nostalgia fa parte di un percorso nel quale occorre aprirsi se no si rischia di confinarsi in una mattonella ristretta.
Ed i legami fra italiani all’estero?
E’ importante mantenere e coltivare nel tempo i legami con i connazionali e con le proprie origini, ma se stare esclusivamente fra connazionali all’inizio è rassicurante alla lunga può diventare asfittico. Dobbiamo accettare la consapevolezza che siamo in cammino ed apprezzare sia la nostra comunità ed il nostro Paese che le belle cose che ci sono dove ci siamo trasferiti, che per quanto riguarda la nostra realtà sono: lavoro, buon cibo, cultura, teatro, sole, mare ecc. Inoltre qui ci sono molte occasioni di uscire anche senza spendere nulla, ci sono iniziative e luoghi aperti a tutti. Quando lo si fa è come se si superasse davvero la frontiera.
Italiani all'Estero. La Nostalgia: Come Superarla?
Ft©arvalens

https://monacoitaliamagazine.net/italiani-allestero-nostalgia-come-superarla

40 anni fa veniva promulgata la Legge 180, cosiddetta Legge Basaglia

    
Franco Basaglia
 
Il 13 maggio del 1978 veniva promulgata la legge n° 180 in tema di "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori". Tale legge è comunemente conosciuta come Legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che si era tanto battuto per la riforma dei manicomi in Italia.
Ma chi era Franco Basaglia? Nato a Venezia nel 1924, studia medicina a Padova e poi si specializza in malattie nervose e mentali. Per me, padovano di studi, ha sempre rappresentato una figura mitica di "rivoluzionario" psichiatra, coraggioso medico capace di umanizzare una istituzione "totale" come il manicomio.
La rivoluzione di Basaglia ha origine nell'anno 1961, poco dopo la libera docenza in psichiatria, quando rinuncia alla carriera universitaria per dirigere l'ospedale psichiatrico di Gorizia.
Lui stesso descrive l'impatto con la realtà ospedaliera di Gorizia traumatico e durissimo, i malati sono sedati farmacologicamente, contenuti (legati), lasciati in stanzoni a vegetare...
Sconvolto, sente di dovere affrontare questa realtà di emarginazione. E' molto colpito dall'esperienza della comunità terapeutica di Maxwell Jones e decide con altri giovani medici di trasformare l'ospedale psichiatrico da luogo di alienazione a spazio di cura e parola per i pazienti ricoverati.
Getta alle ortiche il vecchio "strumentario" di cura: massicce dosi di farmaci, contenzione ai letti, elettroshock, porte chiuse a chiave...
I medici ed il personale tutto si rapportano ai malati soprattutto con la parola, d'ora in poi i pazienti saranno trattati come uomini e donne in crisi, persone sofferenti con la loro imprescindibile dignità.
Non solo, successivamente Basaglia introduce all'interno dell'ospedale atelier di pittura e teatro e una cooperativa di lavoro che coinvolge e retribuisce i malati.
Questa rivoluzione si concretizza nel libro "L'istituzione negata", dirompente volume che si colloca storicamente proprio nell'anno 1968.
Per Basaglia il manicomio va chiuso e vanno realizzati servizi sul territorio per avvicinare i malati mentali, senza strapparli dal contesto sociale e familiare in cui vivono.
In questo senso il manicomio aveva sempre nascosto allo sguardo dei cosiddetti "normali" i "matti", la malattia mentale, creando una barriera di fatto invalicabile e rassicurante per i "sani".
nel 1973 Basaglia passa al manicomio di Trieste e ne diviene direttore. Nello stesso anno fonda il movimento Psichiatria Democratica, che darà spazio a tanti giovani psichiatri, convinti che nella relazione tramite la parola con i pazienti, si nasconde un potente elemento della cura.
Basaglia ha creato le condizioni, soprattutto politiche, per la promulgazione della famosa legge 180, che il Parlamento Italiano approva nel 1978, legge ancora in vigore per l'assistenza psichiatrica.
Successivamente Basaglia è chiamato a Roma a dirigere i Servizi Psichiatrici della Regione Lazio.
Come non ricordare anche Franca Ongaro, moglie di Basaglia e sua instancabile collaboratrice, e dopo la sua morte divulgatrice del suo pensiero, anche politico, come senatrice.
Così pure vorrei ricordare Giovanni Jervis, altro psichiatra formatosi con Basaglia all'ospedale di Gorizia, di cui ho studiato con grande passione il "Manuale critico di psichiatria".
Vorrei anche ricordare l'ottimo film prodotto da Rai Uno: "C'era una volta la città dei matti...", dell'anno 2009, che narra l'esperienza di Franco Basaglia e la drammatica realtà degli ospedali psichiatrici prima della legge 180.


I dolori del corpo


Si parla sempre molto di somatizzazione: ovvero una sofferenza che percepiamo consapevolmente o a livello inconscio e che non riusciamo ad esprimere emotivamente e con il tempo ci fa ammalare. In questa lettura, malesseri e dolori sono secondari ad emozioni eccessive o non riconosciute che agiscono sulla persona. Un "sintomo" sempre molto importante e spia di un disagio più profondo è, ad esempio, l'insonnia. Cosa ci tiene svegli, quali preoccupazioni ci portano all'insonnia? Ovviamente intendo insonnia protratta nel tempo, una notte agitata capita a tutti. Tanti pensieri, dolorosi o fonte di dubbi portano all'emicrania, la testa fa male perché non sappiamo come agire. Il mal di schiena spesso è legato ad un peso psicologico che non si vuole o può sopportare, qualcosa di troppo. Che dire poi del raffreddore, a volte capita senza apparente infreddatura, magari siamo delusi e spossati, oppure il mal di gola: vorremmo forse urlare qualcosa ma non possiamo-vogliamo...! E l'influenza? Ricordo un mio professore che a mo' di battuta diceva: "Che cosa ti "influenza" così tanto da farti stare male...? Che dire poi delle sofferenze legate al nostro stomaco: cosa non riusciamo a digerire (psicologicamente) o quale persona ci intossica, sino ad arrivare alle dolorosissime coliche che di certo veicolano tanta rabbia inespressa verso qualcosa o qualcuno. Per non parlare del cibo, troppo o troppo poco, ma ora potremmo aggiungere anche quanto male si mangia, per ansia, svogliatezza, solitudine. Il vomito, spesso è davvero provvidenziale perché ci permette di espellere qualcosa di tossico ma ci dice anche che dobbiamo "rigettare" qualcosa che non possiamo più assimilare. E' esperienza di molti che le pene d'amore incidono fortemente sulla nostra alimentazione: c'è chi mangia il doppio e chi ha lo "stomaco chiuso" e perde peso. Per non parlare della pressione alta o delle tachicardie, legate a scelte difficili della propria vita. La fame d'aria, i dolori al petto (intercostali) segnalano un peso eccessivo della vita, paure o problemi percepiti come insormontabili. Dolori muscolari, crampi, male alle articolazioni e artrosi indicano rigidità della persona che mal si addicono per affrontare la vita. Stitichezza e diarrea sono all'opposto ma stanno ad indicare qualcosa di importante che non riusciamo ad espellere o che dobbiamo allontanare da noi con violenza... Va da se che il nostro sistema immunitario, delicato e complesso, se viene messo a dura prova lascia aperta la porta a innumerevoli sofferenze come la febbre, che non è una malattia ma il segnale d'allarme di qualcosa che non va. Sta a noi comprendere cosa scatena questa febbre, infezione, allergia, dolore muscolare... Per non parlare delle allergie, sono in aumento vertiginoso, certo ci sono i pollini e le graminacee, ma troppi bambini e ragazzi soffrono di allergie talvolta violente che creano difficoltà respiratorie. Il respiro rappresenta lo scambio con l'ambiente dentro-fuori, ebbene che rapporto abbiamo con la realtà che ci circonda e cosa ci portiamo dentro? 
Queste suggestioni vogliono essere soltanto una possibile lettura di molte sofferenze del nostro corpo, un modo per dare senso anche all'intervento del medico e non accontentarsi solo dei farmaci per tamponare-curare i sintomi.
Accettare che la malattia porti anche un senso e non sia solo un "accidente" o una sventura, potrebbe permettere di capire qualcosa di più del nostro modo di vivere, di ciò che desideriamo e di ciò che vorremmo tenere lontano dalla nostra vita emozionale ed affettiva.

I 5 punti più importanti dell'eredità di Freud



Massimo Recalcati

Inserisco il filmato dell'amico e collega Massimo Recalcati, sull'eredità di Freud.
Buona visione...

https://www.youtube.com/watch?v=ut774f4Fxfs

Lo stress



Si parla molto di stress, spesso si confonde lo stress con la fatica, la noia e la tristezza, sembra che il colesterolo e lo stress siamo le minacce più gravi per gli esseri umani dell'emisfero occidentale...! Lo stress è una sindrome generale di adattamento all'ambiente che ci circonda, del tutto naturale per noi esseri viventi, lo stress è fisiologico, nel senso che se si ha zero stress  vuol dire che si è... morti!
La sindrome venne definita in questo modo dal medico austriaco Hans Selye nel 1936, e gli effetti dello stress da transitori possono scivolare nel patologico (cronico) ed invadere a pieno titolo il territorio della psicosomatica.
Esiste uno stress buono ed uno cattivo (come il colesterolo, guarda caso), che indica la capacità di reazione di una persona agli "stressors", ovvero eventi e situazioni che ci "colpiscono" fisicamente e/o psicologicamente.  Divido il fisico dallo psicologico ma chi mi segue sa bene che li considero strettamente legati.
Classico esempio di stress positivo è la capacità di reagire ad un pericolo, con la fuga o nascondendosi per proteggersi. Grazie allo stress mettiamo in atto comportamenti che ci proteggono o salvano la vita di fronte a gravi minacce.
Il problema si pone se una persona è sottoposta a livelli di stress continuativi nel tempo e non riesce a "recuperare" uno stato di calma, di pace, di riposo per potere affrontare gli altri stress. 
Allora lo stress "rompe" l'equilibrio della persona, si ha perdita di energia, stanchezza eccessiva, irritabilità, insonnia, nervosismo e via così. Ciò significa che ogni persona ha un suo livello di sopportazione dello stress.
Oltre un certo livello si sta male, anche se si cerca di comprendere, capire o razionalizzare ciò che accade; niente, lo stress ci scuote e ci fa soffrire. Va da se che rimuovere la causa stressante ci consente di stare meglio, ma spesso non è possibile: licenziamento, morte, malattia, separazione ecc. non si possono cancellare e lo stress la fa da padrone. Esistono molte tecniche di rilassamento per cercare di affrontare lo stress: Training Autogeno, Yoga, Qi Gong, ad esempio. Utilissime, come altre tecniche di derivazione occidentale od orientale. Però soprattutto la creatività, la nostra capacità di attivare risorse creative per affrontare la situazione stressante, potrebbe dare una risposta nuova ed originale. Creatività che, si badi bene, non è solo appannaggio di artisti, creativi (!) o poeti. Tutti noi possiamo dare risposte nuove ed originali a situazioni stressanti, passare dalla rigidità della risposta a pieno stress a comportamenti diversi e più "elastici". Facile a parole, direte voi, ma che si ha da perdere? Lo stress non si riduce da solo, non evapora e non si consuma, consuma noi, il nostro fisico e la nostra mente. Perché non provare a "inventare" una nuova reazione, una nuova risposta, affrontare l'episodio stressante con una diversa strategia? Spesso funziona e saremo molto contenti di noi stessi. Se non funziona ci sono sempre le tecniche di rilassamento, i farmaci, gli psicologi e le stanze ove si può rompere di tutto, a pagamento...!

L'Università per Stranieri di Perugia





Da poco sono rientrato da Perugia, bella cittadina medievale anche se non sempre facile da vivere per via della scale, degli ascensori e delle strade tortuose che congiungono le varie colline di cui è composta...
Non facevo il turista ma ho seguito il corso per divenire esaminatore CELI, ovvero la certificazione di livello della conoscenza della lingua italiana per stranieri.
Corso tenuto al CVCL (Centro per la Valutazione e Certificazione Linguistica) della prestigiosa Università per Stranieri della città.
Trenta partecipanti provenienti da tutto il mondo, Europa, Nord e sud America e persino dalla Cina.
Trenta giovani (io un pò meno), appassionati, preparati e curiosi, molto impegnati nel sociale e quasi tutti con grande esperienza di insegnamento della nostra bella lingua.
Le giornate di corso sono state impegnative e piene, lezioni, visione di filmati, prove scritte e test finale, in un clima di collaborazione e piacevolezza.
L'aspetto che vorrei sottolineare da Psicologo è il clima che si era creato nel gruppo di partecipanti.
A poco a poco due tre persone, poi quattro e cinque e via così, alla mensa dell'Università hanno cominciato a parlare di sè e delle proprie esperienze vissute in ogni parte del mondo.
Storie che ho trovato affascinanti e che dimostrano lo straordinario impegno di questi giovani in contesti culturali molto diversi e "difficili" come il sud America o la Cina.
Un piccolo gruppo (me compreso) ha poi organizzato una cena alla caratteristica "Locanda dei Morlacchi", in un clima conviviale e gioioso.
Cibo superlativo e buon vino (ovviamente), ci hanno permesso di passare dalla conoscenza ad un rapporto più intenso e di complicità affettiva, tanto che la nostra collega di New York ha seduta stante allestito un gruppo FB di noi tutti, gruppo che ci permette di stare in contatto con gli amici, tornati ora in ogni parte del mondo e, perchè no, pensare altri incontri qua e là per il pianeta.
Sottolineo il clima di grande "affettivita", piacevolezza, complicità e gioiosità che ci ha coinvolti tutti, alimentato da belle persone disposte a mettere a fattore comune la loro esperienza, umanità e curiosità.
I giorni sono passati in fretta ed è giunto il momento di salutarsi, sinceramente eravamo tutti dispiaciuti, era una piccola (grande) famiglia che si separava con la voglia appena possibile di incontrarsi nuovamente.
Vorrei sottolineare il potere della parola, parlare tra noi, contando sull'attenzione curiosa e non giudicante degli altri ha permesso a persone anche timide di raccontare di sè, della propria esperienza e dei propri desideri, ha permesso di passare da "folla" (intesa come insieme di persone) a gruppo centrato sul piacere di stare assieme, cui hanno contribuito tutti.
Altro ricordo molto piacevole : da Perugia siamo andati a Todi (bellissima) a trovare una collega ex stagiaire della Camera di Commercio Italiana di Nizza. Ci ha accolto con grande calore in seno alla sua bella e vivace famiglia, papà e mamma che hanno cucinato da ristorante étoilée, ore che passavano veloci tanto si stava bene assieme...
In definitiva, grazie ed a presto Myriam, Pino, Carmen, Andrea, Cristina, Giovanna, Ilaria, Gianni, Diego, Chiara, Ivan, Alessio...


Cristina, Pino, Carmen, Andrea, Cinzia, Massimo e Giovanna : "I Morlacchi"







La nostalgia


Nostalgia è una parola greca che significa "dolore del ritorno" ed è uno stato psicologico o sentimento di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari.
Scrive il filosofo Antonio Prete: << Tutti viviamo nella incompletezza. Non siamo onnipotenti. Solo se accettassimo la finitezza come nostro orizzonte la nostalgia potrebbe apparire come un elemento positivo. La nostalgia ci dice costantemente che tutto ciò che abbiamo vissuto, che abbiamo amato, che abbiamo coltivato nel passato, non tornerà più, non ci appartiene più >>
Ecco quindi il sentimento della nostalgia per qualcuno o qualcosa che si è lasciato.
Sentimento potente: in una conferenza a Milano qualche anno fa il Prof. Prete ci raccontava che i soldati svizzeri, che andavano a combattere come mercenari in giro per l'Europa, sino al 18° secolo, dopo un po' di tempo lontani dalle loro case cominciavano ad ammalarsi, diventavano tristi, perdevano l'appetito e molti morivano! Pensate, questa malattia veniva chiamata dai medici di allora "mal du Suisse".
Cosa accadeva a questi sfortunati giovani: erano costretti ad abbandonare le loro terre per andare a combattere come soldati di ventura al soldo di eserciti stranieri, lontani dalle proprie famiglie e dalle valli alpine che li avevano visti crescere. Prima di ammalarsi gravemente molti giovani disertavano e fuggivano per tornare alla loro amata Svizzera.

Ecco la cura: tornare nei luoghi natii e dalle persone amate per stare meglio e "guarire".

E noi che viviamo qui a Nizza come la mettiamo con la nostalgia...?
Certo, non andiamo in guerra al soldo di eserciti stranieri, anche se talvolta dobbiamo combattere le nostre battaglie sia lavorative che personali qui in Francia.
Riferimento personale: ogni volta che torno alla "mia" Milano, sono preso da sentimenti contrastanti, so che la città è molto inquinata, caotica, stressante e piena di contraddizioni.
Però un sentimento di nostalgia mi avvolge sempre nel rivedere i luoghi ove abitavo e lavoravo, passare davanti alla mia vecchia scuola, alla casa che avevano abitato i miei genitori, parlare con gli amici rimasti. Guarda caso di solito vado sempre a mangiare da Spontini, mitica pizzeria che frequentava già dalle scuole medie!
Nostalgia allo stato puro, anche se sono sempre più convinto della scelta di vivere e lavorare qui a Nizza.
   
Nel mio lavoro ho incontrato poche persone che non vogliono assolutamente tornare indietro, girerebbero tutto il mondo senza alcun problema e non sembrano avere nostalgia di casa, ma nella maggior parte dei casi le persone esprimono molta nostalgia della loro città, della loro casa, delle persone rimaste in Italia.
Nostalgia è anche nostalgia della lingua, non a caso si parla di lingua madre, che evoca per noi connotazioni affettive profonde e familiari.
Ecco allora che la sfida è riuscire ad accettare che se siamo qui è per trovare un lavoro migliore, per imparare una lingua, trascorrere serenamente gli anni della pensione, convivere con la nostra compagna o.... per fuggire da qualcuno.
Ma accettare il sentimento di nostalgia è anche permettere alla nostra lingua (o ai dialetti) di vivere e farci sentire a casa, in relazione con altre persone, così come il cibo è una potente medicina anti-nostalgia, che ci fa sentire subito a casa nostra.
Credo sia davvero importante mantenere dei legami sociali con altri italiani per non dimenticare mai le nostre radici culturali legate anche alla lingua, ed al contempo frequentare colleghi ed amici francesi per evitare di chiudersi come un ristretto gruppo di nostalgici, pieni di quello struggimento che diviene un "mal du Suisse".

PS : Avete visto con che piacere molti di noi aspettano il pacco inviato dalla mamma da casa in Italia! Pacchi che molto spesso saranno aperti e goduti in momenti conviviali con i propri amici...