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L'esperimento di Latané e Darley

Bibb Latané e John Darley, due psicologi della Columbia University nel 1970 avevano condotto una serie di esperimenti con l'ausilio di studenti universitari che erano invitati a compilare un questionario sulla qualità della vita nelle grandi città degli USA. 

Biancolavoro.it
L'esperimento consisteva nel raggruppare alcuni studenti in una stanza con la porta chiusa, intenti a compilare il questionario e in una variante dell'esperimento tra gli studenti erano messi alcuni "complici" dei ricercatori, che fingevano anch'essi di essere li per compilare il questionario come tutti. Dopo alcuni minuti al di sotto della porta della stanza veniva pompato del fumo, come a seguito di un incendio, fumo che si diffondeva nell'aria della stanza.
Qui iniziava l'esperimento vero e proprio, ovvero l'osservazione delle reazioni degli studenti ignari di quanto accadeva, osservati dai "complici" dei ricercatori.
Se gli studenti erano da soli all'interno della stanza dopo che il fumo iniziava ad espandersi nell'ambiente in pochi secondi erano in allarme e pronti a fuggire (il 75%), se nella stanza vi erano i "complici" dei ricercatori che facevano finta di nulla e continuavano a compilare il questionario mentre il fumo di diffondeva, solo il 26% dei giovani si allarmava e voleva fuggire. Ne consegue che la presenza di altre persone "tranquille" rallenta la nostra percezione del pericolo o di una situazione di emergenza. In qualche modo siamo portati a pensare che se gli altri non sono in allarme e spaventati forse la situazione non è poi così pericolosa. In situazioni ambigue, non chiare, anche in quelle che possono metter in pericolo noi stessi, ci affidiamo alle altre persone per capire cosa accade e quindi per decidere (come in questo caso) se fuggire o meno. In un precedente esperimento effettuato dallo psicologo Solomon Asch, sempre alla Columbia University, appariva chiaro che in situazioni sociali le nostre percezioni e interpretazioni delle situazioni che ci circondano si basano sui comportamenti delle altre persone presenti. Siamo quindi portati a pensare che se, in presenza di fumo tutti si spaventano allora il pericolo è grave, se la maggior parte delle persone resta tranquilla forse sono solo io quello pauroso, non c'è davvero da allarmarsi...

L'effetto Pigmalione


Foto: Giustalessio.com
L'effetto Pigmalione è conosciuto in psicologia come una "profezia autoavverante", ovvero un effetto per cui (ad esempio) se gli insegnanti pensano che un bambino sia più o meno capace degli altri, lo tratteranno, anche inconsciamente, secondo la loro convinzione. A sua volta il bambino, facendo suo il punto di vista dell’insegnante, si comporterà in modo tale da conformarsi ad esso.
L’effetto Pigmalione è conosciuto anche come effetto Rosenthal dal nome dello psicologo che per primo parlò di questo fenomeno. In effetti si tratta di una forma di suggestione psicologica per cui le persone tendono a conformarsi all’immagine che altri individui hanno di loro, sia essa un’immagine positiva oppure negativa. Per indagare tale effetto Robert Rosenthal e la sua equipe nell'anno 1963 sottoposero alcuni bambini di una scuola elementare di San Francisco ad un test d’intelligenza. Dopo il test, in modo casuale, vennero selezionati alcuni bambini ai cui insegnanti fu fatto credere che avessero un’intelligenza sopra la media.
La suggestione fu tale che, quando l’anno successivo Rosenthal si recò presso la scuola elementare, dovette constatare che, in effetti, il rendimento dei bambini selezionati era molto migliorato e questo solo perché gli insegnanti li avevano influenzati positivamente con il loro atteggiamento,  inconsapevoli del fatto che fosse tutto legato alla suggestione. Quindi il credere che un individuo sia dotato, capace o talentuoso porta a comportarsi di conseguenza con lui, mentre se abbiamo la credenza che sia poco capace lo tratteremo peggio! Ovviamente l'effetto Pigmalione non è riscontrabile solo a scuola ma anche nei rapporti di lavoro e ovunque si sviluppino rapporti sociali. In ambito lavorativo quanto conta che il proprio capo o superiore abbia un'idea positiva o "amichevole" di noi piuttosto che un'idea negativa... Soprattutto una volta instaurato l'effetto Pigmalione in senso negativo, sarà ben difficile fare cambiare idea a chi ci ha "etichettati" in un certo modo.
Il nome di tale effetto psicologico ha origine nella mitologia greca ove si narra che Pigmalione, scultore e re di Cipro, realizzò una statua così bella da innamorarsene. Accecato dall’amore chiese alla dea Afrodite di far sì che la statua divenisse umana così da poterla sposare. Venne accontentato e la statua prese a vivere, la potè sposare ed ebbero una figlia. Nell'uso comune, si definisce "Pigmalione" chi assume il ruolo di maestro nei confronti di una persona semplice ed ingenua, plasmandone la personalità, sviluppandone le doti naturali e affinandone i modi.

Gli Hikikomori

Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente "stare in disparte" e viene utilizzato per indicare giovanissimi ed adolescenti che "decidono" di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (mesi o addirittura anni), chiusi nella propria camera da letto, molto spesso collegati ad Internet, e che si rifiutano di parlare e relazionarsi con genitori e fratelli.


Associazione Hikikomori Italia
All'inizio il fenomeno è stato osservato e studiato in Giappone, ma è diffuso anche in altri paesi asiatici e nel resto del mondo occidentale. Da alcuni anni in Francia, dopo che erano stati segnalati alcuni preoccupanti casi di giovani di età tra i 15 ed i 25 anni, con scarsa o nulla "vita sociale", le autorità sanitarie hanno affidato a loro ricercatori, in collaborazione con esperti giapponesi, uno studio per comprendere l'entità del fenomeno e valutare come intervenire. Alcune stime indicano in alcune decine di migliaia il numero di Hikikomori francesi, con un trend in crescita negli anni recenti.
E in Italia? Alcune stime del 2018 indicano centomila tra giovani e giovanissimi interessati da questo fenomeno, ma la cifra potrebbe essere sottostimata. Questo fenomeno viene studiato con attenzione da parte di Associazioni come Hikikomori Italia, Associazione nazionale di informazione e supporto sul tema dell'isolamento sociale giovanile. Un primo distinguo importante è non confondere il ritiro sociale e psicologico dell'hikikomori con la dipendenza da Internet. Nel senso che l'isolamento volontario del vero Hikikomori è alla base della "scelta" radicale di chiudersi in un piccolo spazio protetto e confinato per potere vivere quella che ritiene la sua idea di vita. L'uso o abuso di Internet è solo secondario e può incentivare tale scelta ma non è la causa del "ritiro sociale" del giovane.
E' la condizione di fragilità emotivo-sociale del giovane o dell'adolescente l'innesco del fenomeno dell'Hikikomori, e non Internet. Paradossalmente Internet permette ad alcuni Hikikomori di non essere davvero del tutto isolati dal mondo. Senza confondere realtà "vera" da quella virtuale certo, però una qualche modalità di comunicazione con il mondo esterno può avvenire anche tramite i "Social".



L'esperimento della bambola Bobo

Albert Bandura è uno Psicologo canadese noto per il suo lavoro sulle teorie dell'apprendimento sociale specie nel suo impatto sulla teoria sociale cognitiva. L'esperimento che lo ha reso celebre si è svolto nel 1961 alla Stanford University, dove ha insegnato per molti anni, sino a divenire Presidente dell'American Psychological Association. Bandura stava svolgendo ricerche sull'aggressività e ideò un esperimento "sociale"con il coinvolgimento di alcuni bambini in età pre-scolare. Negli esperimenti erano coinvolti bambini, 36 maschi e 36 femmine della scuola materna dell’Università di Stanford, di età compresa tra i 3 e i 6 anni.
psicologiatorino.org
L'esperimento è conosciuto soprattutto per la bambola Bobo, un pupazzo gonfiabile che mantiene  da solo la posizione eretta anche dopo essere stato colpito. Ricordate Ercolino sempre in piedi, pupazzo di plastica gonfiabile della pubblicità Galbani...?
  • In un primo gruppo di 10 bambini Bandura inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrò aggressivo nei confronti del pupazzo Bobo. L'adulto picchiava il pupazzo gridando: «Picchialo sul naso!» e «Pum pum!».
  • In un secondo gruppo di 10 bambini, gruppo di confronto, un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività nei confronti del pupazzo Bobo.
  • Infine, il terzo gruppo, quello di controllo, era formato da 10 bambini che giocavano da soli e liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello.
Questa era la prima fase dell'esperimento, successivamente i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano giochi neutri (peluche, palline, automobiline) e giochi aggressivi (fucili, martelli, Bobo, una palla con una faccia dipinta legata ad una corda).
Bandura poté verificare che i bambini che avevano osservato l'adulto picchiare Bobo manifestavano un'incidenza maggiore di comportamenti aggressivi, sia rispetto a quelli che avevano visto il modello pacifico sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli. Infatti ben 8 bambini su 10, che avevano visto picchiare Bobo, a loro volta colpivano il pupazzo con rabbia ed aggressività. I bambini degli altri due gruppi invece giocavano tranquilli senza manifestare comportamenti aggressivi verso il pupazzo.
Per Bandura ciò rappresentava la conferma che il comportamento aggressivo dei bambini può essere modellato, cioè appreso per imitazione.
Le ricerche di Bandura sono state più volte utilizzate anche a sostegno della tesi, ancora attuale, secondo la quale le scene di violenza mostrate in TV possono produrre comportamenti imitativi da parte dei ragazzi.
Molti ricorderanno anni fa le tragiche ripetizioni di lanci di pietre sulle auto, dai cavalcavia delle autostrade. Lanci di pietre talmente diffusi in senso imitativo in tutta la Penisola da parte di adolescenti e giovanissimi che avevano costretto i media, in accordo con il Governo, a non parlarne più su giornali e televisione per ridurre drasticamente la frequenza di tali atti criminali sovente mortali. Da allora tutti i cavalcavia delle autostrade sono stati numerati per permettere di risalire a dove erano avvenuti i lanci di pietre! Esperimento di Psicologia sociale tragicamente veritiero che non fa che confermare la teoria di Bandura che: 

"...Le scene di violenza mostrate in TV (o eventi come il lancio di pietre sulle auto) possono produrre comportamenti imitativi da parte dei ragazzi..."

Facebook, maneggiare con cura...



Nel gennaio del 2012 Facebook ha condotto un esperimento all'insaputa di circa 700.000 mila utenti: molti di loro sono stati esposti a "contenuti emotivi" delle pagine che osservavano di tipo fortemente positivo, altri a contenuti molto negativi.
A seconda dei contenuti osservati, le persone postavano commenti positivi o negativi come reazione a quanto letto. Era evidente un fenomeno ben conosciuto in psicologia come "contagio emotivo".
Quando venne pubblicato il risultato dello studio vi furono critiche e pesanti reazioni per tale esperimento, peraltro legale, su temi così delicati come l'etica e la privacy on-line.
Forse non tutti sanno che l'algoritmo sottostante a Facebook e che ci propone quotidianamente gli aggiornamenti, che vediamo scorrere nella nostra pagina si basa già su una serie di principi, totalmente automatizzati, stabiliti per dare priorità a uno o all’altro contenuto in base agli amici con cui entriamo più spesso in contatto o alla popolarità di uno stato o di una foto. Come dire, l'algoritmo ci indirizza già verso determinati contenuti, pensati per noi! Facebook decide cosa farci vedere, mentre noi crediamo che si tratti di notizie e profili scelti in modo imparziale.
Nel caso dell'esperimento i ricercatori di Facebook hanno utilizzato il software Linguistic Inquiry and Word Count, ed i risultati hanno mostrato come la condivisione di emozioni positive ci porti ad esprimerne di altrettanto ottimistiche mentre vedere amici e conoscenti di cattivo umore ci condiziona in questo senso. 
Da notare che alla sottoscrizione di Facebook noi tutti accettiamo le condizioni di questo servizio e le relative profilazioni. Quindi nulla di illegale, ma credo che ben pochi di noi siano consapevoli di quello che sottoscrivono: poi gli algoritmi che diavolo sono? Mi risponda chi lo sa e ne conosce l'utilizzo. Facebook cambia il suo algoritmo quando e come vuole senza doverci chiedere ulteriore assenso tacito o esplicito.
E' anche vero che nel 2012 oltre 340.000 persone si sono recate a votare in elezioni del Congresso Americano dopo avere letto commenti di amici su Facebook, orientati in un senso o nell'altro (Democratici o Repubblicani) e qui non si parla di scegliere una bevanda o un hamburger ma si tratta di "comunicazione politica".
Va detto che il gruppo di ingegneri di Facebook ha lavorato in collaborazione con ricercatori delle Università della California e della Cornell, stupiti per le reazioni della stampa e dei media in generale per tale "ricerca". Gli ingegneri di Facebook hanno manipolato l'algoritmo per orientare le reazioni e studiare l'effetto sugli ignari lettori, senza chieder alcun permesso o scusarsi poi. Ad onore del vero uno degli ingegneri, tale Adam Kramer, membro della squadra di analisi dei dati di Facebook e fra gli autori dello studio ha detto che lo scopo della ricerca era rendere migliore il servizio e si è mostrato:  "... Dispiaciuto per l'ansia causata nei lettori". Come dire che lo studio è stato fatto per i lettori e non c'è motivo di non credere alla buona fede di Facebook.

E voi cosa ne pensate...?

Aggiornamento  del 5 settembre: su un server ad accesso libero sono stati trovati i dati di 419 milioni di utenti Facebook, account e numeri di telefono. Facebook, interpellata, ha minimizzato la cosa e assicurato che ora tutto è sotto controllo e non accadrà più.


Perle prima di colazione

Il 12 gennaio 2007 il giornalista Gene Weingarten del Washington Post volle fare un esperimento di psicologia sociale coinvolgendo uno di più famosi violinisti al mondo: Joshua Bell.

Gene Weingarten

Joshua Bell aveva suonato tre giorni prima alla Symphony Hall di Boston, con biglietti di almeno 100 dollari ed il tutto esaurito. Ebbene il giornalista propose a Bell di suonare come uno dei tanti musicisti di strada che si esibivano nella metropolitana di Washington, nell'atrio della stazione L'Enfant Plaza al mattino all'ora di punta. 


Joshua Bell e lo Stradivari "Gibson ex Huberman"

Bell eseguì per quasi un'ora alcuni celebri e difficilissimi brani di Bach con il suo violino Stradivari del 1713 chiamato "Gibson ex Huberman" e quotato 3,5 milioni di dollari! La performance fu registrata da una  telecamera nascosta. Di 1.097 persone che erano passate, solo sette si fermarono ad ascoltarlo per un po' e solo una lo riconobbe. Alla fine della performance Bell aveva raccolto 32 dollari, pochi per uno dei più talentuosi violinisti al mondo, che aveva suonato pezzi difficilissimi con uno strumento eccezionale! L'obiettivo dell'esperimento era dimostrare come è difficile cogliere la bellezza (in questo caso la musica) in un contesto ordinario come una stazione della metro. Altra domanda: siamo in grado di capire ed apprezzare le straordinarie opere di bellezza che ci circondano...?  Weingarten pubblicò nell'aprile 2007 un pezzo su tale esperienza intitolato Pearls before breakfast (perle prima di colazione) e vinse il premio Pulitzer nel 2008 per il migliore articolo.

Si potrebbe obiettare che all'ora di punta in una stazione della metro le persone hanno fretta, vero. Ma delle mille e passa persone che hanno incrociato l'estemporanea esibizione di Bell tantissime non erano pressate e, soprattutto, mai avrebbero pensato di potere trovare un violinista famoso suonare nella stazione brani di tale difficoltà. Figuriamoci poi con uno Stradivari del 1700...




La "teoria delle finestre rotte"




Foto: Docsity.com




Nel 1969 il professor Philip Zimbardo, docente all’università di Stanford decise di condurre un esperimento di psicologia sociale. Lo psicologo statunitense (di origini italiane) volle studiare il comportamento delle persone in una situazione creata apposta: lasciò due auto abbandonate in strada, due automobili identiche, della stessa marca, modello e colore. Una però la lasciò nel Bronx, una zona povera e conflittuale di New York, l’altra la lasciò a Palo Alto, ancora oggi una zona ordinata ricca e tranquilla della California.
Due auto uguali abbandonate, in due quartieri con popolazioni molto diverse. Con un gruppo di ricercatori nascosti a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.
L’esperimento fornì i primi risultati nel giro di poche ore: l’automobile abbandonata nel Bronx cominciò ad essere vandalizzata il giorno stesso. Dapprima furono rubate la radio, le ruote e gli specchietti, poi parti del motore. Ciò che poteva essere utilizzato fu rubato immediatamente, il resto dell'auto distrutta. Dall’altra parte del Paese invece, l’automobile abbandonata a Palo Alto, dopo una settimana risultava ancora intatta.
I ricercatori a questo punto decisero di fare un ulteriore esperimento: provarono a rompere un vetro della vettura parcheggiata in strada a Palo Alto, nella ricca California. Il risultato fu che si innescò anche per questa auto lo stesso processo, come nel Bronx a New York. Furto e vandalismo ridussero questo veicolo rapidamente ad un rottame.
La domanda era quindi: “Perchè la semplice rottura di un vetro in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocarne a breve la sua distruzione?”
La scoperta: quel fatto, il processo criminale, non era stato provocato dalla povertà, ma era successo qualcosa di diverso. Che aveva a che fare con la psicologia  sociale e con il comportamento umano. Da tale esperimento si comincerà a parlere della “Teoria delle finestre rotte”, molto utile per indagare i fenomeni sulla poverta ed i contesti sociali.
La teoria delle finestre rotte è una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali. La teoria afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l'evasione nel pagamento dei parcheggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi.
Ad esempio l'esistenza di una finestra rotta (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un cassonetto, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale. 
Zimbardo ci ricorda che: “La linea tra il bene e il male è permeabile. Quasi chiunque può essere indotto ad attraversarla quando viene spinto da forze situazionali (ovvero dal contesto)”
In pratica ci si domandò: che pensiero produce la visione di un vetro rotto in un’auto abbandonata?  Trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse e di non curanza. Più in generale trasmette la sensazione di “rottura” dei codici di convivenza. Come altri esperimenti successivi consentirono di rilevare: è il SEGNALE di un territorio con assenza di norme, privo di regole, dove si può fare di tutto. Ogni nuovo attacco subito dall’auto finisce poi con il ribadire e moltiplicare quell’idea. Fino all’escalation di gesti incontrollabili e violenti rivolti anche alle persone.
Chi di voi ha seguito la fortunata serie televisiva Blue Bloods con Tom Selleck, che veste i panni di Frank Reagan, capo della Polizia di New York, lo avrà sentito spesso citare la "teoria delle finestre rotte" ai suoi collaboratori, in riferimento ad alcune zone difficili della grande mela.

Blue Bloods: Tom Selleck, capo della Polizia di New York
Negli anni ottanta una prima applicazione di tale teoria ha visto coinvolta la Metropolitana di New York. La Subway, come in gergo viene chiamata ancor oggi, era il luogo più pericoloso della città. Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti e disturbi. I risultati furono evidenti: non trascurando le piccole trasgressioni si è riusciti a fare della Metro un luogo sicuro.
Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani (anch'egli figlio di immigrati italiani) quando divenne sindaco di New York, basandosi sulla "teoria delle finestre rotte" e sull’esperienza della metropolitana promosse quella come regola della sua amministrazione: “la politica della tolleranza zero”. Che non aveva niente di rigido, nel senso normalmente inteso, bensì la formula di una strategia: quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento dei tassi di criminalità in tutta la città di New York.
In sostanza: la criminalità è più alta nelle aree dove l’incuria, la sporcizia, il disordine e l’abuso sono più alti. Se si rompe il vetro di una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare a nessuno? Allora lì si genererà la criminalità.
Se sono tollerati piccoli reati come il parcheggio in luogo vietato o il superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti? Si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.
La mendicità aggressiva, l’incuria, la sporcizia, sono l’equivalente delle finestre rotte, ossia inviti a commettere crimini più gravi quando il contesto e l'ambiente non rappresentano un limite all'agire.
Le possibilità e le occasioni sono tante. Si può iniziare a riparare le finestre della propria casa, cercare di migliorare le abitudini alimentari della propria famiglia, chiedere a tutti i membri della famiglia di evitare di dire parolacce, soprattutto davanti ai figli...
È idea comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Attribuzione nella quale si trovano d’accordo le ideologie più conservatrici (sia di destra che di sinistra). La Teoria delle Finestre Rotte afferma invece – ed è qui la novità, come si è detto – che la criminalità è invece un fenomeno sociale: fenomeno che non parte da un particolare tipo di persona ma da una “caratteristica”, da una infrazione alla regola. Appunto il vetro rotto “nell’ambiente circostante” che, se non riparato per tempo, comporterà fenomeni di emulazione anche violenta sulle cose e sulle persone.

Un altro esperimento di Philip Zimbardo