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L'utilizzo dello psicologo in Azienda



In questo periodo di difficoltà per tutti i paesi europei (e non solo) sembra curioso scrivere dell'utilizzo dello psicologo in Azienda…
Come dire: le imprese devono badare al sodo, vendere comunque, restare "sul mercato" e via così, per cui ci sono pochissime risorse per la formazione del personale interno o delle reti di vendita.
Nella mia esperienza però ho potuto osservare che con un po' di coraggio e curiosità i manager di alcune Aziende hanno pensato di investire sui loro collaboratori per piccoli progetti di formazione tramite tecniche collaudate ed efficaci.
Mi riferisco alla tecnica del Role Playing, strumento utilizzato da decenni nella formazione di persone sia che svolgano professioni di aiuto (medici, infermieri ecc), sia in ambito lavorativo privato quali dipendenti o forza vendita. 
Il Role Playing è: ...una tecnica mirata ad accrescere le capacità relazionali di una persona. Le competenze relazionali aiutano nella comunicazione, nella gestione di un gruppo, nelle negoziazioni e nel perseguire obiettivi singoli o nel lavoro di squadra. Il Role Playing si propone di simulare una situazione lavorativa realmente accaduta per consentire ai partecipanti di conoscere meglio il loro modo di porsi in relazione con gli altri.
E’ anche possibile video-registrare gli incontri per analizzare in forma dettagliata aspetti positivi e negativi tratti dall’esperienza maturata.
Ho riportato una mia definizione del Role Playing con taglio psicologico, dato che ho sempre utilizzato tale tecnica affinchè le persone conoscessero meglio il loro stile di comunicazione e di relazione per migliorare il rapporto con gli altri, anche nell'ambito lavorativo propriamente detto.
Raramente le persone che hanno partecipato ad una esperienza di formazione con il Role Playing sono rimaste deluse, molti si sono anche divertiti (nulla di male anche in seri contesti lavorativi) e spesso hanno chiesto ai loro capi se era possibile ripetere l'esperienza…
Tutto ciò a fronte di un impegno di mezza giornata o una giornata intera, se veniva utilizzata anche la video-registrazione, che è un po' come la ciliegina sulla torta, di tale esperienza.

La comunicazione tra medico e paziente

Giorni fa alla televisione francese ho seguito un interessante servizio dedicato alla sperimentazione, all'interno del corso di laurea in medicina dell'Università di Lione, di incontri in cui gli studenti del quarto anno simulavano colloqui con pazienti.
Al centro di una sala era posta una scrivania con tre sedie, e gli studenti, usando la ben nota tecnica del Role Playing, a turno si calavano nei panni del "dottore" che doveva spiegare una malattia grave al paziente ed ai suoi familiari.
A rotazione i giovani "dottori" si calavano nei panni del medico e successivamente del paziente-familiare, osservati dai loro colleghi e da due "senior", un medico di lunga esperienza ed un attore-formatore.
Le immagini mostravano giovani studenti in imbarazzo, spesso "bloccati" nel parlare con il paziente, di certo non all'altezza della situazione…
A questo punto interveniva dapprima l'attore-formatore per mostrare i punti critici della comunicazione e suggerire modalità di interazione più affettive e "calde".
Il medico di lunga esperienza, da parte sua, interveniva per rendere le spiegazioni cliniche, i sintomi e la diagnosi, coerenti e comprensibili da parte dei pazienti.
Ho trovato molto innovativa l'idea di mettere assieme un esperto attore ed un esperto medico, per fare riflettere i giovani studenti sulla difficoltà di una comunicazione efficace ed empatica, oltre che clinicamente corretta, verso i loro pazienti.
Ancora poco tempo fa, in una visita ad un parente in ospedale, mi sono reso conto della difficoltà di una comprensione corretta dei messaggi tra medico, paziente e familiari.
Anche medici che dedicavano tempo, per loro prezioso, al dialogo con il paziente ed i familiari, compivano errori comunicativi a volte ingenui, a volte fonte di ulteriore angoscia per chi  ascoltava, quando, in buona fede, desideravano rassicurare l'interlocutore…
Ovviamente anche i pazienti ed i familiari capiscono a "modo loro", ma il medico è in una posizione di "soggetto supposto sapere" che lo pone in maniera asimmetrica rispetto agli interlocutori, e tale posizione va sostenuta con consapevolezza ed efficacia.
Mi tornano alla mente le esperienze di "Primo colloquio simulato", che si svolgevano a Milano negli spazi dello CSERDE (Centro studi e ricerche sulla devianza ed emarginazione), ospitato alla Provincia di Milano e poi alla Società Umanitaria, cui ho partecipato per anni.
Cuore di tale esperienza rivolta agli psicologi era il Dr. Enzo Morpurgo, che con validi collaboratori dedicava tempo e passione per formare i giovani psicologi al colloquio clinico.
Morpurgo, psichiatra e psicoanalista, aveva aperto il primo Consultorio Popolare rivolto ai cittadini, in quel di Niguarda, per fornire alla classe operaia colloqui psicologici gratuiti e sviluppare nei soggetti la consapevolezza delle cause sociali della sofferenza psichica.
Morpurgo si è dedicato con tutte le sue forze a formare giovani operatori della salute, psicologi e medici, all'applicazione della psicoanalisi fuori dal contesto tradizionale, nel territorio.
Nel 1976 aveva fondato con altri colleghi l'Associazione "Psicoterapia critica", luogo di dibattito scientifico e politico per una psicoanalisi fruibile da tutti, al di là della condizione economica.
Sono un po' commosso nello scrivere queste parole, grazie Enzo per tutto quello che hai fatto per noi giovani "Psi", e… quanto ci servirebbe ancora uno sguardo "Politico" sulla psicoanalisi e della psicoanalisi sulla società attuale.






Il Role Playing


IL ROLE PLAYING
“Giocare significa allenarsi alla vita, cioè provare in una situazione protetta le difficoltà della vita che, dette in un linguaggio più preciso, sono in gran parte determinate dalla relazione esistente tra l’individuo e la società”.
Enzo Spaltro, 1975

Il Role Playing consente di:

  • −  sviluppare le capacità di comunicare e gestire le relazioni
    interpersonali;
  • −  migliorare le capacità di ascolto e di comprensione dei
    punti di vista degli altri;
  • −  saper osservare e analizzare i comportamenti altrui;
  • −  sviluppare la capacità di mediazione e negoziazione;
  • −  apprendere strategie per affrontare situazioni lavorative
    complesse.
    Questa tecnica consente ad ogni partecipante di conoscere i bisogni soggettivi e le “difese” psicologiche che ciascuno di noi porta all’interno di un gruppo:
    -esempi di bisogni: bisogno di identità, comprensione e riconoscimento;
    -bisogno di fidarsi, di essere rassicurato;
    -bisogno di essere accettato;
    -bisogno di coesione e familiarità.
    Il Role playing si propone di simulare una situazione reale accaduta o prevista, allo scopo di far conoscere ai partecipanti, attraverso il gioco della parte assegnata e di fronte ad altri, le relazioni che si stabiliscono in un’attività caratterizzata da un importante processo di comunicazione.
Il gruppo dei partecipanti si divide in due parti: alcuni interpreteranno dei personaggi in una situazione realistica della vita lavorativa, altri osserveranno la loro azione; ciò non significa che “attori” e “spettatori” abbiano funzione nettamente diversa: ambedue le categorie devono “osservare ciò che succede” ed elaborare l’osservazione allo scopo di comprendere il sistema di relazione e comunicazione si realizza. Ai partecipanti che fungeranno da “attori” verranno assegnate delle “parti” che definiscono il loro ruolo nella situazione che si vuole ricreare; a tutti sarà dato uno scenario che definisce il contesto nel quale l’azione si sviluppa.
Naturalmente non si tratta di mettere in scena una “pièce teatrale”, quanto di far interagire delle personalità. Le “parti” conterranno anche alcune indicazioni su come iniziare il “gioco” e come condurne alcuni aspetti, ovvero sulle caratteristiche e sulle modalità comportamentali del ruolo assunto; la parte maggiore del lavoro sarà però lasciata all’improvvisazione.
E’ utile e didattico anche consentire agli “attori”, dopo un po’ di tempo che giocano la loro parte, scambiare le posizioni tra i due partecipanti, ovvero mettersi nei “panni dell’altro”.
Conclusa l’esperienza di Role Playing, il conduttore e tutto il gruppo riportano le loro osservazioni e ne discutono assieme: è importante che tutti “dicano la loro”, e che anche gli “attori” riportino le loro impressioni, emozioni, scelte e difficoltà relazionali.

Un po’ di teoria sul Role Playing:
“Il Sé nasce dai ruoli”: il comportamento e, di conseguenza, la nostra identità si strutturano attraverso configurazioni di ruoli che noi giochiamo-interpretiamo a seconda delle varie situazioni”.
“Identità e comportamento sono, tra loro, in una relazione ricorsiva: il comportamento causa l’identità che, a sua volta, causa il comportamento”.
“Il ruolo è la forma operativa che l’individuo assume come risposta ad una determinata situazione”
Jacob Levy Moreno
Queste citazioni da Jacob Moreno, connettono molto bene comportamento manifesto, ruoli e identità personale.
Il Role Playing è uno strumento dinamico, vivo, che ben si presta per consentire ad ogni persona di conoscere qualcosa di più di sé stessa, della propria identità pur utilizzando la recita di situazioni tipicamente lavorative- professionali.
È una metodologia didattica mirata all’acquisizione di competenze relazionali (saper essere) connesse ad un profilo professionale. Le competenze relazionali aiutano nella comunicazione, nella gestione di un gruppo, nell’affrontare i conflitti e nel perseguire obiettivi singoli o nel lavoro di squadra.

IL ROLE PLAYING può essere:
LIBERO: si stabiliscono solo i ruoli e il contesto lasciando liberi gli attori nella gestione dell’interazione comunicativa;

SEMI-STRUTTURATO: si indica in modo dettagliato il contesto e la situazione psicologica dei ruoli giocati e si accenna il nodo problematico.
Al termine del lavoro di Role Playing, si introducono i partecipanti ad un processo via via più approfondito di riflessione sull’esperienza, sia sperimentata che osservata.