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La relazione tossica di Costanza


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Costanza è una ragazza ventisettenne nativa di Bari che si é trasferita a Londra per lavorare in una società informatica. 
È laureata in fisica ma é attratta dall’informatica ed ha messo in conto di avere un’esperienza all’estero di alcuni anni, poi chissà…
La mamma di Costanza è mancata tanti anni fa e la famiglia (di umili origini) é composta dal padre e da due fratelli più grandi di lei che raramente hanno sostenuto il desiderio di Costanza di studiare. Le fa onore avere seguito i corsi universitari mentre lavorava come cameriera per sostenere le spese universitarie.
Il padre ed i due fratelli hanno una piccola officina di riparazioni auto e Costanza ha ben chiaro che deve allontanarsi da Bari per fare la sua vita.
Appena concluso gli studi, con tre anni di ritardo, motivati dal connubio studio-lavoro, cerca lavoro all’estero: è attratta dall’Inghilterra e dato che se la cava bene con l’inglese, appreso da sola, inizia ad inviare un gran numero di curriculum.
Immaginate quindi la sua gioia quando é contattata da un’azienda informatica con sede a Londra, che dopo il classico iter di colloqui la assume a tempo indeterminato.
In men che non si dica si trasferisce a Londra e trova sistemazione presso un’Associazione che fornisce appoggio a stranieri con un contratto lavorativo stabile. La modesta cifra richiesta per l’alloggio, peraltro in una zona centrale di Londra e non lontano dall’ufficio, le permette una buona qualità di vita.
I primi mesi sono “fantastici” per lei, visita tutta la città ed i suoi musei, ed ora mette in conto nei fine settimana di visitare i dintorni di Londra.
Tramite Facebook entra in contatto con altri italiani della capitale ed inizia ad uscire alla sera per bere qualcosa e partecipare alle sue prime feste, che la galvanizzano.
Conosce alcuni ragazzi che le piacciono ma niente di troppo serio, é una bella ragazza e non ha certo difficoltà a “farsi notare”.
Ha piccoli flirt siano a quando conosce Mattia, ragazzo italiano che si è appena trasferito a Londra dopo avere abbandonato gli studi in Italia. Mattia é un bellissimo ragazzo, con velleità di fare il modello, nel frattempo lavora come cameriere in un ristorante di Londra.
Si incontrano con altri italiani del gruppo FB e Costanza è subito attratta dalla simpatia e bellezza di Mattia che però ha una storia in essere con Giulia. Dopo alcuni mesi accade qualcosa che stravolge la vita di Costanza (parole sue): una notte Mattia citofona a Costanza angosciato e chiede di salire da lei, ha appena litigato furiosamente con Giulia, che gli ha ingiunto di uscire di casa immediatamente.
Costanza lo fa restare a casa da lei e lo conforta. Il giorno dopo Costanza si mette in contatto con Giulia che le dice chiaramente che è tutto finito tra loro, Mattia è totalmente irresponsabile e si comporta sempre da ragazzino nell’incapacità di avere una relazione seria.
Costanza è scossa dal sentire quelle parole ma é anche consapevole che Giulia non ha mai veramente mostrato attaccamento al “povero” Mattia. 
Il ragazzo trova un alloggio e per qualche tempo Costanza e Mattia si incontrano in modo “amichevole” sino a quando ad una festa, complice qualche bicchiere di troppo, si baciano.
Ha inizio una storia molto coinvolgente per i due ragazzi tanto che cercano subito un alloggio e vanno a convivere.
Per oltre un anno tutto procede per il meglio, Costanza è molto contenta di Mattia, che reputa un ragazzo assennato e serio, che purtroppo è costretto a fare il cameriere in attesa di trovare lavoro come modello.
Mattia viene a sapere che un corso tenuto da una società di pubbliche relazioni potrebbe aiutarlo a trovare buoni contatti per entrare nel mondo della moda. Il corso è molto costoso e richiede un impegno incompatibile con il lavorare al ristorante e Costanza viene in aiuto di Mattia, pagherà l’iscrizione e lo manterrà durante le lezioni per l’anno di corso. 
Al termine del corso Mattia è deluso, tante promesse ma nessun contatto davvero utile. Costanza gli chiede di riprendere a lavorare dato che da sola ha difficoltà a pagare affitto e spese varie per loro due. Mattia tergiversa, anzi è convinto di dovere insistere con il suo desiderio di fare il modello quindi farà tutti i casting possibili a Londra. Il clima comincia ad essere teso, Costanza incalza Mattia che insiste assolutamente con il suo desiderio di “sfondare” nella moda e certo non può perdere occasioni andando a lavorare in un ristorante.
Spesso Mattia torna a casa piuttosto bevuto ed i litigi con Costanza diventano la norma. Al momento solo scontri a parole ma Costanza “sente” che la rabbia di Mattia potrà prima o poi sfociare in qualcosa di fisico. 
Infatti un giorno, nel mentre di una litigata, Mattia scaglia il cellulare di Costanza contro il muro.
La ragazza è molto spaventata e Mattia con l’abilità di un attore hollywoodiano si scusa, implora di perdonarlo e giura di cercare lavoro al più presto.
Mattia riprende a lavorare al ristorante e sembra che il clima tra i due ragazzi migliori sino a quando… Costanza scopre che al ristorante non l’hanno mai visto e Mattia ha contratto dei debiti con la firma, ovviamente falsa, della ragazza.
Litigata furiosa tra i due e Costanza cade spinta dal ragazzo. Di colpo Mattia si trasforma, la soccorre, piange ed implora perdono per quanto ha fatto. Ancora una volta Costanza lo perdona, forse per paura di reazioni ancora più estreme di Mattia. Costanza ora è molto spaventata, comincia a pensare a come "fuggire" da Mattia e decide di telefonare a Giulia, che nel frattempo si è trasferita a Nizza per lavoro e che l’aveva ben avvisata della vera natura di Mattia. Sostenuta anche dalle parole di Giulia e con la scusa delle ferie Costanza si allontana da Mattia e torna a Bari, aggiorna a grandi linee i familiari e stavolta ha il pieno appoggio del padre e dei fratelli che non vedono l’ora di incontrare faccia a faccia Mattia. Costanza capisce bene che non è il caso (!) per il bene di tutti ma ora DEVE affrontare il suo di bene e fare scelte coraggiose.
In men che non si dica, su suggerimento di Giulia, trova lavoro a Sophia Antipolis, e blocca Mattia in tutti i modi per non sentirlo più. 
Giulia si comporta da “sorella maggiore” per Costanza, purtroppo condividono entrambe l’essere state “vittime” di Mattia. Giulia ascolta, supporta ed assiste Costanza con due imperativi categorici: non sentire più Mattia e intraprendere un percorso di psicoterapia come già sta facendo lei. È molto doloroso per Costanza “mettere mano” alla sua attitudine (malata) ad essere crocerossina per un ragazzo in una relazione che si è rivelata tossica. Da qui occorre partire nel percorso delle sedute, analizzare gli aspetti di sacrificio e martirio che Costanza considera insiti in una relazione amorosa. Alcuni sogni di Costanza ci aiutano a capire il vissuto profondo della ragazza: in un ricordo delle prime sedute ci racconta che ha sognato lei che cercava disperatamente di piacere al padre, affaccendato ed intento a parlare con i suoi figli (maschi).
In un successivo sogno ricorda che seguiva un corso di meccanica on-line per poi mostrare al padre il diploma e andare a lavorare con lui in un’officina senza i suoi due fratelli!
Sogni sin troppo “trasparenti” ed evocativi di una sofferta richiesta di essere vista ed apprezzata, ma che si concludono con un rifiuto.
Costanza capisce anche che in qualche modo ha bisogno (ed anche desidera un pò) riprendere i contatti con i suoi familiari, trovare un modo nuovo di relazionarsi a loro, dare una chance al padre ed ai fratelli non solo nel momento del bisogno (vedi Mattia) ma anche in momenti più “familiari”.
Decide di prenotare a Nizza un soggiorno per tutti, vuole provare ad averli vicino tenuto conto che a Londra non ha mai voluto che venissero a trovarla.
Detto fatto, organizza un breve soggiorno che permette a tutti di avere momenti sereni, del resto hanno tanto da raccontarsi visto che si conoscono molto poco in riferimento alle emozioni profonde ed alle loro dinamiche familiari. Il racconto della dolorosa storia di Mattia consente loro di “avvicinarsi” molto di più ed affrontare le difficoltà di relazione che troppo spesso hanno caratterizzato i loro scambi familiari. Le giornate assieme si concludono con una cena in un bel ristorante di Nizza ove sono presenti tutti, Giulia compresa che di fatto ora é parte della famiglia… 


Il testo è redatto nel rispetto del Codice della Privacy-GDPR-regolamento UE 2016/67 




















Chiara e Luca

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Chiara ha 28 anni e Luca 30. Si sono conosciuti a Milano ove si erano trasferiti dal sud Italia per gli studi. Descrivono il loro incontro “magico” e fonte di grande serenità e gioia. Stanno assieme da cinque anni e convivono da tre, Chiara è grafica freelance e Luca fisioterapista. Un amico di Luca lo convince a trasferirsi a Nizza ove avrà sicuramente ottime prospettive di lavoro, mentre Chiara che lavora on-line potrà continuare senza problema anche a distanza.
Il primo anno a Nizza li vede soddisfatti della scelta, cominciano a conoscere tanti altri italiani, come loro trasferitisi alla ricerca di un lavoro più gratificante.
Poi qualcosa si “rompe” tra di loro. La coppia si presenta in consultazione su iniziativa di Chiara, che riferisce un progressivo allontanamento affettivo e una sensazione di vuoto nella relazione. Luca accetta di partecipare, pur manifestando scetticismo e una certa difficoltà a riconoscere la dimensione emotiva del disagio.
Entrambi riportano un momento “pesante” caratterizzata da difficoltà comunicative, calo del desiderio e sentimenti di incomprensione reciproca.
Chiara riferisce di “Non sentirsi più vista né desiderata”, mentre Luca lamenta “Continue richieste e tensioni” che lo portano a ritirarsi. La (dolorosa) domanda esplicita della coppia è comprendere se “Ha ancora senso restare insieme”, ma sul piano implicito emerge un bisogno di riconoscimento e validazione reciproca, spesso agito attraverso modalità difensive.
Durante le prime sedute si evidenzia una dinamica interattiva complementare: Chiara tende a occupare la posizione di chi ricerca contatto e conferme affettive, mentre Luca assume un atteggiamento di distacco e razionalizzazione.
Anche il linguaggio corporeo della coppia rifletta tali polarità: Chiara è protesa in avanti, con tono di voce carico di urgenza emotiva; Luca è più composto, spesso distoglie lo sguardo, e parla in modo contenuto, talvolta difensivo.
Il dialogo è frequentemente interrotto da incomprensioni che riattivano nel campo relazionale un clima di frustrazione. Si percepisce nella stanza una tensione oscillante tra desiderio di fusione e timore di invasione, che viene letta come espressione di un conflitto di fondo relativo ai bisogni di attaccamento e autonomia.
Appare chiaro che i due giovani si “lanciano addosso” difficoltà legate alle rispettive vicende familiari senza averne chiara comprensione. Entrambi sentono di avere ragione ed il tutto non fa che allontanarli pur con tutta la sofferenza che comporta il solo pensiero di lasciarsi…
Lavoriamo con Chiara sul proprio bisogno di contenimento e sicurezza, che esprime in forma di rimprovero o richiesta controllante nei confronti di Luca, che si sente “attaccato” e non percepisce la sofferenza di Chiara all’origine di tale comportamento.
Chiara ci racconta la sua esperienza infantile di avere avuto a che fare con una madre emotivamente imprevedibile, in cui la ricerca di vicinanza veniva vissuta con ambivalenza, paura e delusione. Da qui il suo profondo timore di “perdere” Luca che la porta ad agire aggressivamente nei suoi confronti, anziché esprimere il proprio bisogno di rassicurazione e la sua paura.
Luca, dal canto suo, esprime un modello relazionale di ritiro difensivo, legato ad una madre vissuta come intrusiva e ad un padre poco presente, che lo hanno portato a costruire un Sé autonomo a costo di un forte controllo affettivo ed emotivo.
Portare a livello consapevole le due dinamiche psicologiche che Chiara e Luca che si proiettano l’uno verso l’altra permette di cogliere la sofferenza di entrambi piuttosto che la sola parte aggressiva, richiedente, esigente o sfuggente.
Il conflitto inconscio della coppia può essere descritto come lo scontro tra due fantasmi relazionali: quello di Chiara, che teme l’abbandono, e quello di Luca, che teme l’invasione. Le rispettive difese — l’agito relazionale di tipo fusionale di Chiara e il ritiro evitante di Luca — mantengono il legame, ma ne impediscono la crescita.
Ma Chiara e Luca come sappiamo in cuor loro desiderano salvare la coppia. É che non sanno come fare dato che non riescono ancora a riconoscere ciò che li lega veramente e ciò che li allontana.
Ovviamente non é facile per i due giovani comprendere appieno queste dinamiche, capire che ognuno di loro ha bisogni, paure e desideri da esprimere e non vale il discorso del “Chi ha più ragione”…
Il lavoro terapeutico continua e le sedute successive sono all’insegna di una maggiore consapevolezza per entrambi, riconoscimento dei bisogni e desideri reciproci ed “abbassamento” delle difese e dei momenti di tensione dovuti ai “fraintendimenti”.

Chiara riesce a riconoscere la propria ansia di separazione come parte della sua storia personale e non come conseguenza diretta del comportamento di Luca.
Luca, dal canto suo, comincia a verbalizzare la paura di “essere invaso” e di “non avere spazio per sé”, comprendendo come il suo silenzio sia un modo per evitare la perdita di controllo.
Il clima relazionale si fa più tollerante: la coppia riesce a confrontarsi senza attivare immediatamente il ciclo di attacco-ritiro. Il desiderio reciproco sembra riemergere come espressione di un incontro meno difensivo.
Il caso di Chiara e Luca evidenzia la difficoltà, tipica di molte coppie giovani contemporanee, di integrare i bisogni di autonomia e di dipendenza all’interno di una relazione stabile.
La terapia ha mostrato che la crisi non era segno di disamore, ma manifestazione di un conflitto evolutivo tra il desiderio di fusione e la paura di annullamento, riattivato da antichi modelli familiari .


Il testo è redatto nel rispetto del Codice della Privacy-GDPR-regolamento UE 2016/67 

Forum Engagement - 29 ottobre 2025

 

 
 

Soremax é stata invitata al Forum de l'Engagement del 29 ottobre al parc Phoenix di Nizza.

Dalle 14 alle 14.45 avremo uno spazio dedicato per presentare Soremax al pubblico.

 

 

 

Marta, il corpo come rifugio

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Marta è una ragazza diciannovenne che vive con i genitori e la sorella minore di un anno Sonia, non lontano da Montpellier.
Fin dall’adolescenza ha mostrato una certa insicurezza e una forte sensibilità al giudizio altrui. Durante gli studi è stata oggetto di prese in giro per il suo aspetto fisico, esperienza che ha inciso profondamente sulla sua autostima. Da allora ha iniziato a usare il cibo come fonte di conforto, soprattutto nei momenti di stress o solitudine. Appena prende peso lascia il ballo che è la sua passione sin da bambina, appena torna a controllarsi ricomincia le lezioni. 
La madre ha una lunga storia di diete fallite e tende a criticare spesso l’aspetto della figlia maggiore, anche se con intenzioni “educative”. Il padre, più distante emotivamente, tende a minimizzare le difficoltà psicologiche, sostenendo che “Con la forza di volontà si risolve tutto”.
In questo contesto Marta riferisce di sentirsi poco compresa e di nascondere la propria sofferenza per non deludere i genitori. Marta percepisce la famiglia come affettuosa ma poco disponibile a parlare di emozioni. 
Marta e Sonia sono complici nella vita, escono spesso assieme ed hanno i loro primi flirt con comuni amici di scuola. Si confidano e spalleggiano dato che la loro mamma è ben poco interessata alle loro storielle con i ragazzi. Proprio un compagno di classe di Marta rappresenta il suo primo vero legame affettivo: Giacomo è un ragazzo dolce e premuroso con cui la ragazza sta proprio bene.
Al termine degli studi Marta cerca un semplice lavoro dato che non ha voglia di studiare mentre Giacomo si trasferisce a Montpellier per iscriversi a Scienze dell’Educazione (STAPS).
Il trasferimento di Giacomo viene vissuto molto male da Marta che si sente “abbandonata” e si ritrova ad essere molto gelosa. Non avrebbe pensato di stare così male ma teme che Giacomo incontri un’altra ragazza più carina di lei… Sonia cerca di rassicurarla, è assolutamente certa di Giacomo ma la sorella è veramente angosciata.
Marta, al momento solo un po’ sovrappeso inizia a mangiare di tutto, anche di notte, pasticcia e addirittura assume cibo già scaduto e in breve tempo prende molti chili.
Sonia è consapevole della grave sofferenza della sorella e la esorta a chiedere aiuto, oltretutto Marta ha preso tanti chili e dice di sentirsi “Bloccata nel corpo sbagliato” e di “Non avere più voglia di uscire, tanto non valgo niente, nessuno potrà mai accettarmi così.”
Marta viene in consultazione accompagnata da Sonia, che si comporta da “genitore” visto che i veri genitori hanno difficoltà a comprendere la sofferenza della ragazza.
Marta ci racconta che per la sua gelosia “patologica” Giacomo la ha chiesto una pausa, che ovviamente la ragazza vive come l’inizio della fine, cosa che non corrisponde a quanto Giacomo pensa.
Proponiamo un incontro tra Marta, Giacomo e noi, nel tentativo di ristabilire una comunicazione “sana” tra i due ragazzi.
Pur con difficoltà Marta si convince che Giacomo è preoccupato e non sa che fare dell’immotivata (dal suo punto di vista) gelosia della ragazza, e acconsente a tornare al paese per alcuni mesi, per rassicurarla e starle vicino.
Si tratta di un primo passo, ora occorre lavorare sul senso di abbandono che Marta vive appena sente di “perdere il controllo” nei confronti di Giacomo.
Il corpo di Marta sembra diventare una metafora del suo mondo interno: il peso rappresenta una difesa, un modo per contenere emozioni che non trovano parole. Il cibo è il suo linguaggio affettivo, un mezzo per colmare il vuoto emotivo e la mancanza di riconoscimento. 
L’obesità non è solo un sintomo fisico, ma un modo di essere nel mondo, una protezione contro l’esposizione, il giudizio, il rifiuto e l’abbandono.
Con l’aiuto di un accompagnamento nutrizionale Marta riprende (pur con fatica) a meglio gestire il cibo, in termini di quantità e qualità, e perdere alcuni chili, non solo riprende i suoi corsi di danza e può guardarsi allo specchio senza “Vedersi grassa come una balena…” (Parole sue).
Il lavoro di consapevolezza sui genitori non sortisce grande effetto, la mamma è sempre giudicante e poco empatica mentre il babbo è convinto (in cuor suo) che il cibo, il peso ed il corpo siano solo problemi che angustiano le donne, giovani o meno !
Giacomo, davvero colpito dalla sofferenza di Marta le propone di trasferirsi a Montpellier, potranno affittare uno studio assieme e poi la ragazza si troverà un lavoretto.
Giacomo chiede a Marta di continuare le sedute, talvolta assieme o individualmente, per affrontare i “suoi fantasmi” che in situazioni di stress psicologico emergono con forza: altresì prosegue il lavoro di consapevolezza alimentare per la ragazza, con l’accompagnamento che potrà portarla a vivere il cibo come nutrimento e non scudo o trasformarsi in un modo per allontanare il dolore emotivo che non riesce ad esprimere altrimenti.

Il testo è redatto nel rispetto del Codice della Privacy-GDPR-regolamento UE 2016/67 



La "teoria delle finestre rotte"



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Nel 1969 il professor Philip Zimbardo, (quello dell'esperimento precedente) docente all’università di Stanford decise di condurre un esperimento di psicologia sociale. Lo psicologo statunitense (di origini italiane) volle studiare il comportamento delle persone in una situazione creata apposta: lasciò due auto abbandonate in strada, due automobili identiche, della stessa marca, modello e colore. Una però la lasciò nel Bronx, una zona povera e conflittuale di New York, l’altra la lasciò a Palo Alto, ancora oggi una zona ordinata ricca e tranquilla della California.
Due auto uguali abbandonate, in due quartieri con popolazioni molto diverse. Con un gruppo di ricercatori nascosti a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.
L’esperimento fornì i primi risultati nel giro di poche ore: l’automobile abbandonata nel Bronx cominciò ad essere vandalizzata il giorno stesso. Dapprima furono rubate la radio, le ruote e gli specchietti, poi parti del motore. Ciò che poteva essere utilizzato fu rubato immediatamente, il resto dell'auto distrutta. Dall’altra parte del Paese invece, l’automobile abbandonata a Palo Alto, dopo una settimana risultava ancora intatta.
I ricercatori a questo punto decisero di fare un ulteriore esperimento: provarono a rompere un vetro della vettura parcheggiata in strada a Palo Alto, nella ricca California. Il risultato fu che si innescò anche per questa auto lo stesso processo, come nel Bronx a New York. Furto e vandalismo ridussero questo veicolo rapidamente ad un rottame.

La domanda era quindi: “Perchè la semplice rottura di un vetro in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocarne a breve la sua distruzione?”
La scoperta: quel fatto, il processo criminale, non era stato provocato dalla povertà, ma era successo qualcosa di diverso. Che aveva a che fare con la psicologia  sociale e con il comportamento umano. Da tale esperimento si comincerà a parlere della “Teoria delle finestre rotte”, molto utile per indagare i fenomeni sulla poverta ed i contesti sociali.

La teoria delle finestre rotte è una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali. La teoria afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l'evasione nel pagamento dei parcheggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi.
Ad esempio l'esistenza di una finestra rotta (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un cassonetto, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale. 


Zimbardo ci ricorda che: “La linea tra il bene e il male è permeabile. Quasi chiunque può essere indotto ad attraversarla quando viene spinto da forze situazionali (ovvero dal contesto)”

 
In pratica ci si domandò: che pensiero produce la visione di un vetro rotto in un’auto abbandonata?  Trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse e di non curanza. Più in generale trasmette la sensazione di “rottura” dei codici di convivenza. Come altri esperimenti successivi consentirono di rilevare: è il SEGNALE di un territorio con assenza di norme, privo di regole, dove si può fare di tutto. Ogni nuovo attacco subito dall’auto finisce poi con il ribadire e moltiplicare quell’idea. Fino all’escalation di gesti incontrollabili e violenti rivolti anche alle persone.

Chi di voi ha seguito la serie televisiva Blue Bloods con Tom Selleck, che veste i panni di Frank Reagan, capo della Polizia di New York, lo avrà sentito spesso citare la "teoria delle finestre rotte" ai suoi collaboratori, in riferimento ad alcune zone difficili della grande mela.

Negli anni ottanta una prima applicazione di tale teoria ha visto coinvolta la Metropolitana di New York. La Subway, come in gergo viene chiamata ancor oggi, era il luogo più pericoloso della città. Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti e disturbi. I risultati furono evidenti: non trascurando le piccole trasgressioni si è riusciti a fare della Metro un luogo sicuro.
Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani (anch'egli figlio di immigrati italiani) quando divenne sindaco di New York, basandosi sulla "teoria delle finestre rotte" e sull’esperienza della metropolitana promosse quella come regola della sua amministrazione: “la politica della tolleranza zero”. Che non aveva niente di rigido, nel senso normalmente inteso, bensì la formula di una strategia: quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento dei tassi di criminalità in tutta la città di New York.
In sostanza: la criminalità è più alta nelle aree dove l’incuria, la sporcizia, il disordine e l’abuso sono più alti. Se si rompe il vetro di una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare a nessuno? Allora lì si genererà la criminalità.
Se sono tollerati piccoli reati come il parcheggio in luogo vietato o il superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti? Si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.

La Teoria delle Finestre Rotte afferma invece – ed è qui la novità, come si è detto – che la criminalità è invece un fenomeno sociale: fenomeno che non parte da un particolare tipo di persona ma da una “caratteristica”, da una infrazione alla regola. Appunto il vetro rotto “nell’ambiente circostante” che, se non riparato per tempo, comporterà fenomeni di emulazione anche violenta sulle cose e sulle persone.



Giulia, tra anoressia e bulimia

 

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Giulia ha 21 anni ed è una studentessa universitaria che vive con i genitori e un fratello minore. Famiglia benestante, con valori centrati sul rendimento, l’autocontrollo e la buona immagine sociale. La madre è una figura dominante, perfezionista e molto attenta al corpo e all’alimentazione; il padre è più distaccato emotivamente.
Fin dall’infanzia, Giulia ha imparato che l’amore e l’approvazione passano attraverso la prestazione (essere brava, controllata, ordinata, “giusta”). Non è mai stata incoraggiata a esprimere rabbia, tristezza o fragilità. Le emozioni, soprattutto quelle negative, sono vissute come pericolose e da reprimere.
Giulia è sempre stata una studentessa diligente, perfezionista e sensibile al giudizio altrui. Ha mostrato tratti di ansia da prestazione e bassa autostima, con una tendenza al controllo come modalità di gestione delle emozioni.
 Durante l’adolescenza ha subito alcuni episodi di derisione da parte dei coetanei per il suo corpo (“un po’ in carne”), che hanno inciso profondamente sulla percezione di sé. Giulia inizia a sperimentare insicurezze legate al corpo e al confronto sociale. Le prime diete nascono da un bisogno di riconoscimento e di controllo, ma si trasformano progressivamente in un mezzo per gestire il vuoto emotivo e l’angoscia.
 Il corpo diventa il terreno su cui si esprime una tensione interna tra desiderio di autonomia e bisogno di approvazione.
L’esordio “ufficiale” del disturbo risale ai 18 anni, in concomitanza con un periodo di stress legato alla maturità scolastica. Inizialmente Giulia ha iniziato una dieta “per sentirsi più in forma”, riducendo progressivamente l’apporto calorico e aumentando l’attività fisica.
La restrizione alimentare e il dimagrimento progressivo offrono a Giulia una sensazione di potenza e padronanza: il controllo del corpo sostituisce la percezione di controllo sulla propria vita. Il cibo negato diventa simbolo di autonomia e purezza, mentre la fame diventa una forma di autodisciplina estrema.
Dopo mesi di restrizione, Giulia inizia a vivere episodi bulimici. Questi rappresentano il collasso del controllo e l’irruzione di parti psichiche scisse e represse. 
Nelle sedute ci racconta che: “…Le abbuffate esprimono un bisogno affettivo e orale non riconosciuto, un tentativo di “riempire” il vuoto interiore con il cibo, simbolo di nutrimento e amore.”
Non solo, Giulia ricorre anche al vomito quando cede alle abbuffate. Il vomito auto-indotto diventa il gesto purificatore: ciò che è stato introdotto viene espulso per non essere contaminata, né fisicamente né emotivamente.
Questo ciclo (riempire e svuotare) riflette la dinamica tra bisogno di fusione e terrore della dipendenza. Giulia desidera essere accolta, ma teme di perdere sé stessa se si lascia nutrire o amare.
Il corpo, per Giulia, non è solo un oggetto estetico, ma il campo di battaglia della sua identità.
Attraverso il peso, la fame e il vomito, costruisce un linguaggio corporeo che traduce conflitti psichici profondi:
Nel corso delle sedute verbalizza che: “Esisto solo se riesco a controllarmi e più dimagrisco più valgo”
Il cibo per Giulia ormai non è più nutrimento, ma mezzo di regolazione affettiva ed il corpo diventa, in senso simbolico, il luogo in cui si manifesta la difficoltà di integrare mente ed emozioni, desiderio e colpa, autonomia e bisogno.
Il lavoro terapeutico permette di affrontare la mai risolta ambivalenza verso la madre: Giulia idealizza e nel contempo rifiuta la figura materna, vorrebbe essere come lei ma capisce che ha bisogno di distaccarsi per vivere la sua vita.
Non solo, il feroce controllo del cibo e del corpo, con i successivi cedimenti bulimici, ci dicono quanto la sua identità sia fragile. Nelle mente di Giulia fame e sessualità sono vissute come pericolose e vanno negate. 
Giulia in seduta ricorda le difficoltà che aveva la madre per farla mangiare sin da piccola: bizzarri rituali per darle il cibo con il cucchiaino, con la mamma sempre nervosa al momento del pranzo o della cena.
Quindi una relazione primaria con la madre tramite il cibo vissuto come campo di battaglia piuttosto che momento emotivamente rassicurante e contenitivo.
Partendo da questi ricordi di Giulia possiamo affrontare l’ambivalenza nei confronti della madre, lavorare sulla separazione psichica delle due donne e nella costruzione di un’identità autonoma della giovane.
Un passaggio importante per Giulia é anche riconoscere e tollerare le proprie emozioni, soprattutto rabbia e bisogno di dipendenza, senza agire attraverso il corpo sia con il controllo anoressico che con il “cedimento” bulimico.
Anche un accompagnamento “reale” sul tema del cibo, ovvero prepararsi il mangiare, cucinarlo ed assumerlo, con consapevolezza e ritrovata pacificazione, aiuta Giulia a non confondere il cibo con le emozioni…
Nel caso di Giulia, il disturbo alimentare appare come una soluzione patologica a un conflitto identitario profondo: la difficoltà di separarsi, di riconoscersi come soggetto indipendente e di gestire i propri bisogni affettivi.
 L’anoressia e la bulimia diventano due facce della stessa medaglia: il tentativo di controllare e allo stesso tempo esprimere un dolore emotivo inespresso, utilizzando il corpo come linguaggio.

Il testo è redatto nel rispetto del Codice della Privacy-GDPR-regolamento UE 2016/67 

Facebook: Social o manipolazione ?

  

© Facebook

Nel gennaio del 2012 Facebook ha condotto un esperimento all'insaputa di circa 700.000 mila utenti: molti di loro sono stati esposti a "contenuti emotivi" delle pagine che osservavano di tipo fortemente positivo, altri a contenuti molto negativi.
A seconda dei contenuti osservati, le persone postavano commenti positivi o negativi come reazione a quanto letto. Era evidente un fenomeno ben conosciuto in psicologia come "contagio emotivo".
Quando venne pubblicato il risultato dello studio vi furono critiche e pesanti reazioni per tale esperimento, peraltro legale, su temi così delicati come l'etica e la privacy on-line.
Forse non tutti sanno che l'algoritmo sottostante a Facebook e che ci propone quotidianamente gli aggiornamenti, che vediamo scorrere nella nostra pagina si basa già su una serie di principi, totalmente automatizzati, stabiliti per dare priorità a uno o all’altro contenuto in base agli amici con cui entriamo più spesso in contatto o alla popolarità di uno stato o di una foto. Come dire, l'algoritmo ci indirizza già verso determinati contenuti, pensati per noi.
Nel caso dell'esperimento i ricercatori di Facebook hanno utilizzato il software Linguistic Inquiry and Word Count, ed i risultati hanno mostrato come la condivisione di emozioni positive ci porti ad esprimerne di altrettanto ottimistiche mentre vedere amici e conoscenti di cattivo umore ci condiziona in questo senso. 
Da notare che alla sottoscrizione di Facebook noi tutti accettiamo le condizioni di questo servizio e le relative profilazioni. Quindi nulla di illegale, ma credo che ben pochi di noi siano consapevoli di quello che sottoscrivono: poi gli algoritmi che diavolo sono? Mi risponda chi lo sa e ne conosce l'utilizzo. Facebook cambia il suo algoritmo quando e come vuole senza doverci chiedere ulteriore assenso tacito o esplicito.
E' anche vero che nel 2012 oltre 340.000 persone si sono recate a votare in elezioni del Congresso Americano dopo avere letto commenti di amici su Facebook, orientati in un senso o nell'altro (Democratici o Repubblicani) e qui non si parla di scegliere una bevanda o un hamburger ma si tratta di "comunicazione politica".
Va detto che il gruppo di ingegneri di Facebook ha lavorato in collaborazione con ricercatori delle Università della California e della Cornell, stupiti per le reazioni della stampa e dei media in generale per tale "ricerca". Gli ingegneri di Facebook hanno manipolato l'algoritmo per orientare le reazioni e studiare l'effetto sugli ignari lettori, senza chieder alcun permesso o scusarsi poi. Ad onore del vero uno degli ingegneri, tale Adam Kramer, membro della squadra di analisi dei dati di Facebook e fra gli autori dello studio ha detto che lo scopo della ricerca era rendere migliore il servizio e si è mostrato:  "... Dispiaciuto per l'ansia causata nei lettori". Come dire che lo studio è stato fatto per i lettori e non c'è motivo di non credere alla buona fede di Facebook.

E voi cosa ne pensate...?

Aggiornamento di settembre 2012: su un server ad accesso libero sono stati trovati i dati di 419 milioni di utenti Facebook, account e numeri di telefono. Facebook, interpellata, ha minimizzato la cosa e assicurato che ora tutto è sotto controllo e non accadrà più. 

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