Il burn-out di Francesco

© Ante Hamersmit - Unsplash

Uno degli effetti "indiretti" della pandemia è rappresentato dal fenomeno del burn-out.

Intendiamoci il burn-out è conosciuto e studiato da decenni. Burn-out è un termine di origine inglese che letteralmente significa "bruciato", "esaurito" o "scoppiato". Dal 2019 il burn-out è riconosciuto come "sindrome" dall'ICD (International Classification of Disease) testo di riferimento globale per tutte le patologie. L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il burnout come un "fenomeno occupazionale" derivante da uno stress cronico mal gestito, ma specifica che non si tratta di una malattia o di una condizione medica (quindi è psicologica) . Il burn-out è caratterizzata da una serie di fenomeni di affaticamento, delusione, logoramento e improduttività che sfociano in sconforto e disinteresse per la propria attività professionale quotidiana. 

Il termine burn-out era stato utilizzato negli anni '30 per indicare degli atleti che "improvvisamente" non riuscivano più a mantenere le loro performance agonistiche, apparivano demotivati, "spenti" e con maggior facilità ad avere infortuni.

Negli anni '70 il fenomeno del burn-out era stato osservato nel personale infermieristico di un centro psichiatrico negli USA, poi in molte altre situazioni lavorative. 

Era stato osservato che persone in contatto con il pubblico, fossero clienti, utenti, studenti o pazienti, quindi attività che implicano le relazioni interpersonali, di colpo si "esaurivano" e dovevano assentarsi dal lavoro per periodi anche lunghi, per "ricaricare le batterie".

Appariva chiaro che andavano in burn-out le persone che più avevano investito nel loro lavoro, ci "mettevano passione" ed erano disposte a fare dei sacrifici per la loro attività. Con la costante di essere in relazione con altre persone cui offrivano aiuto, sostegno, soccorso o appoggio.

Chi mette molto "cuore" nel suo lavoro rischia maggiomente il burn-out se non presta attenzione al dispendio di energie fisiche e, soprattutto, psicologiche che utilizza.

Fenomeni importanti di burn-out anche qui in Francia erano presenti prima della pandemia, ma le varie chiusure forzate e a singhiozzo, il lavoro da remoto o almeno in parte, le "vaccinazioni" ed i richiami continui, il green pass base e quello rafforzato, hanno accentuato in tutti lo stress reale o percepito. Ciò ha comportato che in ambito lavorativo sono avvenute delle modificazioni organizzative ed umane talvolta troppo estreme e difficili da "digerire" in tempi così ristretti in un clima di paura se non terrore per il virus.

Francesco lavora come infermiere in un ospedale di Nizza nella cardiologia. E' molto preparato, come la maggior parte degli infermieri e medici italiani (va detto con orgoglio...) ed abituato a seguire pazienti gravi e sofferenti. Non si spaventa facilmente ed ha grande passione per il suo lavoro. E' venuto in Francia per trovare condizioni lavorative migliori rispetto alla sua cittadina del sud Italia, che ha lasciato a malincuore.

E' apprezzato dai colleghi, le colleghe lo adorano (è pure un bel ragazzo) perchè ha un'innata simpatia ed è, guarda caso, bravo a cucinare.

Ebbene un giovane così che sembrerebbe assai "centrato" su di sè, solido e capace di affrontare ogni avversità con forza ed un sorriso un brutto giorno si trova "scoppiato"...

Mi contatta e per alcune sedute mi racconta la sua quotidianità lavorativa, carica di difficoltà. Mi dice: "Noi in reparto viaggiamo sempre al 120%, non possiamo fermarci nemmeno un minuto" ma l'équipe è coesa e siamo come dei soldati..."

Ammetto che sentire ciò mi ha preoccupato: che organizzazione sanitaria può ammettere che un reparto lavori al 120% ? E' essere sul filo del rasoio, ed il rasoio taglia! Fuor di metafora il reparto era potenzialmente bello e pronto al burn-out di tutti i membri.

All'arrivo del primo confinamento, con tutte le restrizioni due colleghe si mettono in malattia per qualche giorno. Poi i pochi giorni diventano settimane e nel reparto si comincia a parlare di burn-out. Francesco da "bravo soldato" combatte anche per le assenti e (parole sue) "...Tiene la posizione".

Passano le settimane ed una notte non riesce a dormire, può capitare, vai di blando sonnifero.

La notte successiva è praticamente insonne e via così le notti seguenti. Comincia ad essere in debito di sonno, prende le pastiglie ma non vuole esagerare, giustamente.

Mi racconta che stranamente ha la febbre alla sera, qualche linea poi la mattina torna tutto normale. Non capisce perchè, è vaccinato e in ospedale sono attenti al massimo, del resto i tamponi sono sempre negativi!
Ma un episodio lo spaventa. Per andare al lavoro usa lo scooter, comodo e veloce. Ebbene nel pochissimo traffico del confinamento quasi investe un pedone ad un semaforo. Non si è accorto che era rosso e urta, fortunatamente in modo leggero, un ragazzo. Ma è la sua reazione a spaventarlo: "...Mi sono scusato ed il ragazzo ha capito e non è successo nulla. Stavo per risalire sullo scooter ma le mani mi tremavano, sono scoppiato in un pianto dirotto tanto che il ragazzo mi ha confortato ed accudito..."  
Aggiunge: "Ho sentito che ero proprio "cotto", soprattutto non avevo voglia di andare al lavoro...!"

Questa consapevolezza è il vero campanello d'allarme per Francesco, deve accettare il suo burn-out, mettersi in malattia e trovare il modo di ricaricare le batterie. Esordisce dicendomi: "Vorrei tornare come prima, non stare male...". E' sorpreso quando gli dico che non potrà e dovrà tornare come prima, ha da farsi carico della sua vita in modo diverso se davvero vuole stare meglio.

Francesco nel corso delle sedute deve mettere in "tensione" la sua passione per il lavoro e quello che definisce : "... Spirito di sacrificio" appreso in famiglia dai genitori, entrambi insegnanti di scuole medie, che hanno dato "la loro vita" alla scuola...

Se ci sono turni extra in reparto si propone sempre, gli fanno comodo dei soldini in più. È stato attento a non avere relazioni sul lavoro con le colleghe, per evitare possibili problemi ed ha un storia con una ragazza italiana conosciuta a Nizza. Mi dice: "...Più che una "storia" è una relazione di mutuo soccorso! Ci sosteniamo a vicenda, usciamo, qualche breve vacanza ma ognuno a casa sua...".

Mentre racconta ciò ha gli occhi umidi, ha una sensazione di tristezza che non conosce da tempo. Io valorizzo queste sue emozioni, autentiche, messe in "freezer" come amo dire! Partiamo proprio da lì: si riempie di lavoro per non pensare alla sua vita affettiva, pensa di vivere cent'anni così come un "ragazzino" assennato e poi si vedrà... Poi quando?!

Un giorno, senza dirmi nulla, viene in seduta accompagnato dalla sua ragazza. Sono sorpreso ma anche contento. Penso dentro di me, e poi gli dico: "Finalmente mi fate vedere che esiste una coppia e che volete farla vivere davvero!

Iniziamo una "seconda parte" del lavoro come percorso di coppia, con centratura sui loro sentimenti, sui desideri e sulle paure reciproche. 

Qualche mese fa Francesco e Angela si sono sposati. Al momento non pensano di avere un bambino, ma l'anno prossimo si vedrà...


 

 



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