Soremax é stata invitata al Forum de l'Engagement del 29 ottobre al parc Phoenix di Nizza.
Dalle 14 alle 14.45 avremo uno spazio dedicato per presentare Soremax al pubblico.
Psicologo e Psicoterapeuta
Soremax é stata invitata al Forum de l'Engagement del 29 ottobre al parc Phoenix di Nizza.
Dalle 14 alle 14.45 avremo uno spazio dedicato per presentare Soremax al pubblico.
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Marta è una ragazza diciannovenne che vive con i genitori e la sorella minore di un anno Sonia, non lontano da Montpellier.
Fin dall’adolescenza ha mostrato una certa insicurezza e una forte sensibilità al giudizio altrui. Durante gli studi è stata oggetto di prese in giro per il suo aspetto fisico, esperienza che ha inciso profondamente sulla sua autostima. Da allora ha iniziato a usare il cibo come fonte di conforto, soprattutto nei momenti di stress o solitudine. Appena prende peso lascia il ballo che è la sua passione sin da bambina, appena torna a controllarsi ricomincia le lezioni.
La madre ha una lunga storia di diete fallite e tende a criticare spesso l’aspetto della figlia maggiore, anche se con intenzioni “educative”. Il padre, più distante emotivamente, tende a minimizzare le difficoltà psicologiche, sostenendo che “Con la forza di volontà si risolve tutto”.
In questo contesto Marta riferisce di sentirsi poco compresa e di nascondere la propria sofferenza per non deludere i genitori. Marta percepisce la famiglia come affettuosa ma poco disponibile a parlare di emozioni.
Marta e Sonia sono complici nella vita, escono spesso assieme ed hanno i loro primi flirt con comuni amici di scuola. Si confidano e spalleggiano dato che la loro mamma è ben poco interessata alle loro storielle con i ragazzi. Proprio un compagno di classe di Marta rappresenta il suo primo vero legame affettivo: Giacomo è un ragazzo dolce e premuroso con cui la ragazza sta proprio bene.
Al termine degli studi Marta cerca un semplice lavoro dato che non ha voglia di studiare mentre Giacomo si trasferisce a Montpellier per iscriversi a Scienze dell’Educazione (STAPS).
Il trasferimento di Giacomo viene vissuto molto male da Marta che si sente “abbandonata” e si ritrova ad essere molto gelosa. Non avrebbe pensato di stare così male ma teme che Giacomo incontri un’altra ragazza più carina di lei… Sonia cerca di rassicurarla, è assolutamente certa di Giacomo ma la sorella è veramente angosciata.
Marta, al momento solo un po’ sovrappeso inizia a mangiare di tutto, anche di notte, pasticcia e addirittura assume cibo già scaduto e in breve tempo prende molti chili.
Sonia è consapevole della grave sofferenza della sorella e la esorta a chiedere aiuto, oltretutto Marta ha preso tanti chili e dice di sentirsi “Bloccata nel corpo sbagliato” e di “Non avere più voglia di uscire, tanto non valgo niente, nessuno potrà mai accettarmi così.”
Marta viene in consultazione accompagnata da Sonia, che si comporta da “genitore” visto che i veri genitori hanno difficoltà a comprendere la sofferenza della ragazza.
Marta ci racconta che per la sua gelosia “patologica” Giacomo la ha chiesto una pausa, che ovviamente la ragazza vive come l’inizio della fine, cosa che non corrisponde a quanto Giacomo pensa.
Proponiamo un incontro tra Marta, Giacomo e noi, nel tentativo di ristabilire una comunicazione “sana” tra i due ragazzi.
Pur con difficoltà Marta si convince che Giacomo è preoccupato e non sa che fare dell’immotivata (dal suo punto di vista) gelosia della ragazza, e acconsente a tornare al paese per alcuni mesi, per rassicurarla e starle vicino.
Si tratta di un primo passo, ora occorre lavorare sul senso di abbandono che Marta vive appena sente di “perdere il controllo” nei confronti di Giacomo.
Il corpo di Marta sembra diventare una metafora del suo mondo interno: il peso rappresenta una difesa, un modo per contenere emozioni che non trovano parole. Il cibo è il suo linguaggio affettivo, un mezzo per colmare il vuoto emotivo e la mancanza di riconoscimento.
L’obesità non è solo un sintomo fisico, ma un modo di essere nel mondo, una protezione contro l’esposizione, il giudizio, il rifiuto e l’abbandono.
Con l’aiuto di un accompagnamento nutrizionale Marta riprende (pur con fatica) a meglio gestire il cibo, in termini di quantità e qualità, e perdere alcuni chili, non solo riprende i suoi corsi di danza e può guardarsi allo specchio senza “Vedersi grassa come una balena…” (Parole sue).
Il lavoro di consapevolezza sui genitori non sortisce grande effetto, la mamma è sempre giudicante e poco empatica mentre il babbo è convinto (in cuor suo) che il cibo, il peso ed il corpo siano solo problemi che angustiano le donne, giovani o meno !
Giacomo, davvero colpito dalla sofferenza di Marta le propone di trasferirsi a Montpellier, potranno affittare uno studio assieme e poi la ragazza si troverà un lavoretto.
Giacomo chiede a Marta di continuare le sedute, talvolta assieme o individualmente, per affrontare i “suoi fantasmi” che in situazioni di stress psicologico emergono con forza: altresì prosegue il lavoro di consapevolezza alimentare per la ragazza, con l’accompagnamento che potrà portarla a vivere il cibo come nutrimento e non scudo o trasformarsi in un modo per allontanare il dolore emotivo che non riesce ad esprimere altrimenti.
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Nel 1969 il professor Philip Zimbardo, (quello dell'esperimento precedente) docente all’università di Stanford decise di condurre un esperimento di psicologia sociale. Lo psicologo statunitense (di origini italiane) volle studiare il comportamento delle persone in una situazione creata apposta: lasciò due auto abbandonate in strada, due automobili identiche, della stessa marca, modello e colore. Una però la lasciò nel Bronx, una zona povera e conflittuale di New York, l’altra la lasciò a Palo Alto, ancora oggi una zona ordinata ricca e tranquilla della California.
Due auto uguali abbandonate, in due quartieri con popolazioni molto diverse. Con un gruppo di ricercatori nascosti a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.
L’esperimento fornì i primi risultati nel giro di poche ore: l’automobile abbandonata nel Bronx cominciò ad essere vandalizzata il giorno stesso. Dapprima furono rubate la radio, le ruote e gli specchietti, poi parti del motore. Ciò che poteva essere utilizzato fu rubato immediatamente, il resto dell'auto distrutta. Dall’altra parte del Paese invece, l’automobile abbandonata a Palo Alto, dopo una settimana risultava ancora intatta.
I ricercatori a questo punto decisero di fare un ulteriore esperimento: provarono a rompere un vetro della vettura parcheggiata in strada a Palo Alto, nella ricca California. Il risultato fu che si innescò anche per questa auto lo stesso processo, come nel Bronx a New York. Furto e vandalismo ridussero questo veicolo rapidamente ad un rottame.
La domanda era quindi: “Perchè la semplice rottura di un vetro in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocarne a breve la sua distruzione?”
La scoperta: quel fatto, il processo criminale, non era stato provocato dalla povertà, ma era successo qualcosa di diverso. Che aveva a che fare con la psicologia sociale e con il comportamento umano. Da tale esperimento si comincerà a parlere della “Teoria delle finestre rotte”, molto utile per indagare i fenomeni sulla poverta ed i contesti sociali.
La teoria delle finestre rotte è una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali. La teoria afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l'evasione nel pagamento dei parcheggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi.
Ad esempio l'esistenza di una finestra rotta (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un cassonetto, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale.
Zimbardo ci ricorda che: “La linea tra il bene e il male è permeabile. Quasi chiunque può essere indotto ad attraversarla quando viene spinto da forze situazionali (ovvero dal contesto)”
In pratica ci si domandò: che pensiero produce la visione di un vetro rotto in un’auto abbandonata? Trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse e di non curanza. Più in generale trasmette la sensazione di “rottura” dei codici di convivenza. Come altri esperimenti successivi consentirono di rilevare: è il SEGNALE di un territorio con assenza di norme, privo di regole, dove si può fare di tutto. Ogni nuovo attacco subito dall’auto finisce poi con il ribadire e moltiplicare quell’idea. Fino all’escalation di gesti incontrollabili e violenti rivolti anche alle persone.
Chi di voi ha seguito la serie televisiva Blue Bloods con Tom Selleck, che veste i panni di Frank Reagan, capo della Polizia di New York, lo avrà sentito spesso citare la "teoria delle finestre rotte" ai suoi collaboratori, in riferimento ad alcune zone difficili della grande mela.
Negli anni ottanta una prima applicazione di tale teoria ha visto coinvolta la Metropolitana di New York. La Subway, come in gergo viene chiamata ancor oggi, era il luogo più pericoloso della città. Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti e disturbi. I risultati furono evidenti: non trascurando le piccole trasgressioni si è riusciti a fare della Metro un luogo sicuro.
Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani (anch'egli figlio di immigrati italiani) quando divenne sindaco di New York, basandosi sulla "teoria delle finestre rotte" e sull’esperienza della metropolitana promosse quella come regola della sua amministrazione: “la politica della tolleranza zero”. Che non aveva niente di rigido, nel senso normalmente inteso, bensì la formula di una strategia: quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento dei tassi di criminalità in tutta la città di New York.
In sostanza: la criminalità è più alta nelle aree dove l’incuria, la sporcizia, il disordine e l’abuso sono più alti. Se si rompe il vetro di una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare a nessuno? Allora lì si genererà la criminalità.
Se sono tollerati piccoli reati come il parcheggio in luogo vietato o il superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti? Si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.
La Teoria delle Finestre Rotte afferma invece – ed è qui la novità, come si è detto – che la criminalità è invece un fenomeno sociale: fenomeno che non parte da un particolare tipo di persona ma da una “caratteristica”, da una infrazione alla regola. Appunto il vetro rotto “nell’ambiente circostante” che, se non riparato per tempo, comporterà fenomeni di emulazione anche violenta sulle cose e sulle persone.
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