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Centro di ascolto psicologico in lingua italiana



La comunità italiana in Costa Azzurra è stimata in varie migliaia di connazionali, circa 8000 a Nizza e dintorni e 30.000 sulla fascia costiera.
Gli iscritti all'AIRE (Anagrafe Italiana Residenti all'Estero) sono molti meno, del resto pur essendo obbligatorio iscriversi a tale lista, per i residenti, non vi sono sanzioni né segnalazioni di sorta...
E' poi difficile capire all'interno di questi numeri qual'è la composizione dei soggetti: all'inizio, dieci quindici anni fa, molti pensionati giustamente trovavano il loro "buen ritiro" al mite clima della Costa Azzurra. Col passare degli anni tanti giovani (e meno giovani) hanno cercato e trovato lavoro a Nizza e dintorni, alcuni lavorano a Montecarlo che ancor oggi sembra una meta lavorativa ambita...
Poi molti giovani studenti o ricercatori, hanno proseguito i loro studi al polo universitario di Sophia Antipolis, campus all'americana, molto attrezzato e con sezioni di studio di eccellenza.
Pensate ci sono 5000 tra ricercatori e studenti, all'interno del più grande Parco Scientifico di Francia, a stretto contatto con 1400 imprese che hanno uffici studi, R&D, laboratori ed uffici.
Va da se che oggi all'interno dei numeri che prima citavo vi sono giovani, meno giovani, adulti, senior ed anziani con la più grande articolazione in termini di reddito da lavoro o da pensione.
Non tutto è oro quel che riluce e sicuramente molte persone, al di là dell'età, possono avere trovato o trovano difficoltà personali, lavorative o di integrazione in Francia, pur nella cornice del tutto particolare della Costa Azzurra.
A queste persone abbiamo rivolto un progetto di ascolto psicologico gratuito, in collaborazione con il Comites (Comitato degli Italiani all'Estero) di Nizza, nella persona di Bruno Capaldi, Consigliere Generale Italiani all'Estero per la Francia.
Ci auguriamo che tale spazio di ascolto possa essere utile a quanti hanno un disagio, una sofferenza che vogliono affrontare, ricercando le cause non solo all'esterno di loro ma anche dentro di sé, nel proprio mondo emotivo dando parola a tale disagio, nell'incontro con uno psicologo che parla davvero la loro lingua. 


Nuova iniziativa in collaborazione con il COMITES

Centro di ascolto psicologico in lingua italiana

In psicologia Ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. 


E' un processo psicologico e fisico che si sviluppa sin dall'infanzia, circondati da un mondo disponibile all'ascolto.

Col passare del tempo, e in presenza di un ambiente oggi sempre piu' proteso ad ascoltare solo se stesso, si può sentire la solitudine anche se circondati da tante persone.

Ed il conseguente disagio psicologico.

Per questo Massimo Felici e Sonia Dionisi, psicologi italiani professionisti da molti anni e residenti in Costa Azzurra, in collaborazione con il Comites di Nizza hanno pensato di offrire gratuitamente uno Spazio di Ascolto : infatti, per due giovedì ogni mese (il primo ed il terzo), dalle 10 alle 12 del mattino saranno a disposizione presso la sede del Comites a Nizza, per incontri individuali.
Chi fosse interessato può contattare il coordinatore sig. Bruno Capaldi per concordare un appuntamento.
Comites: 72 blvd. Gambetta, 06000 Nizza
tel. 04.92151520, email: comites-nice@wanadoo.fr



La Psicologia in Francia



Dopo alcuni mesi di soggiorno in Francia, posso dire che la percezione degli psicologi qui a Nizza differisce abbastanza dalla percezione che le persone hanno di questo professionista della salute, in Italia.
Psicologo in Italia è sinonimo di terapeuta, persona che si occupa di malattia e cura tramite la parola, senza usare i farmaci, che sono appannaggio dello psichiatra, in quanto medico.
Si sa anche che ci sono psicologi nelle scuole, negli ospedali, in associazioni di vario tipo Onlus o meno... Direi che questa è la percezione generale di questa figura professionale, spesso accerchiata da counselor, coach, esperti di non si sa che cosa in ambito psicologico.
Qui in Francia la psicologia è percepita come una risorsa e lo psicologo un professionista che aiuta le persone che soffrono, nella classica varietà dei sintomi come stress, ansia, depressione, o in momenti di crisi personale, separazione ecc... sia che assumano o meno anche psicofarmaci, prescritti dal medico.
In Francia però lo psicologo è particolarmente utilizzato come un "tecnico" di orientamento, uno specialista che tramite test e questionari, può aiutare uno studente per scegliere il corso di studi più consono alle sue competenze ed interessi.
Così pure lo psicologo si occupa di orientamento lavorativo, e data la difficile situazione del mercato del lavoro anche qui in Francia, molte persone si rivolgono a tale specialista per un processo di orientamento.
Cosa intendo per orientamento? Utilizzo una definizione generale:
"Nell’orientamento, il bilancio di competenze è un percorso che permette di mettere a punto un progetto professionale attraverso l’analisi sistematica delle caratteristiche personali, condotta con l’utilizzo di materiali strutturati quali test e/o schede di autoanalisi".
Non a caso il Bilancio di Competenze, che prevede l'utilizzo di un percorso di autovalutazione strutturato ai fini di orientamento lavorativo, è stato diffuso dall'Associazione Retravailler, nata in Francia. Il Bilancio di Competenze è chiamato Bilan ed è molto utilizzato da aziende private e strutture pubbliche nazionali o territoriali.
Retravailler in Francia si presenta come: "Premier Réseau National D'Orientation, de Professionnalisation et de Valorisation de L'Expérience".
Il Bilancio di Competenze è definito dall'articolo L 900.2 del Codice del Lavoro francese, (non così in Italia) quindi riconosciuto ufficialmente sia dalle Aziende che dai lavoratori, siano essi operai, quadri, o in vario modo inseriti nell'organizzazioni.
L'obiettivo del Bilancio di Competenze è: "Permettre a des travailleurs d'analyser leurs compétences professionnelles et personnelles ainsi que leurs aptitudes et leurs motivations afin de definir un project d'évolution professionnelle et les cas échéant, un project de formation".
Molti psicologi si sono specializzati ed utilizzano queste tecniche, per valorizzare il potenziale umano in azienda. Anche nel caso, purtroppo, di ri-posizionamento lavorativo o licenziamento, contribuiscono ad ipotizzare percorsi di formazione per apprendere le competenze utili a semplificare e velocizzare la ricerca di un nuovo lavoro.
In definitiva lo psicologo è percepito sia come persona che "cura" la sofferenza ma anche come professionista che aiuta a valorizzare risorse, competenze ed a conoscere le criticità sia in ambito formativo scolastico che lavorativo.

Franco Basaglia

L'undici marzo del 1924 nasceva a Venezia Franco Basaglia.
Per me, padovano di studi, ha sempre rappresentato una figura mitica di "rivoluzionario" psichiatra, coraggioso medico capace di umanizzare una istituzione "totale" come il manicomio.
La rivoluzione di Basaglia ha origine nell'anno 1961, poco dopo la libera docenza in psichiatria, quando rinuncia alla carriera universitaria per dirigere l'ospedale psichiatrico di Gorizia.
Lui stesso descrive l'impatto con la realtà ospedaliera di Gorizia traumatico e durissimo, i malati sono sedati farmacologicamente, contenuti (legati), lasciati in stanzoni a vegetare...
Sconvolto, sente di dovere affrontare questa realtà di emarginazione. E' molto colpito dall'esperienza della comunità terapeutica di Maxwell Jones e decide con altri giovani medici di trasformare l'ospedale psichiatrico da luogo di alienazione a spazio di cura e parola per i pazienti ricoverati.
Getta alle ortiche il vecchio "strumentario" di cura: massicce dosi di farmaci, contenzione ai letti, elettroshock, porte chiuse a chiave...
I medici ed il personale tutto si rapportano ai malati soprattutto con la parola, d'ora in poi i pazienti saranno trattati come uomini e donne in crisi, persone sofferenti con la loro imprescindibile dignità.
Non solo, successivamente Basaglia introduce all'interno dell'ospedale atelier di pittura e teatro e una cooperativa di lavoro che coinvolge e retribuisce i malati.
Questa rivoluzione si concretizza nel libro "L'istituzione negata", dirompente volume che si colloca storicamente proprio nell'anno 1968.
Per Basaglia il manicomio va chiuso e vanno realizzati servizi sul territorio per avvicinare i malati mentali, senza strapparli dal contesto sociale e familiare in cui vivono.
In questo senso il manicomio aveva sempre nascosto allo sguardo dei cosiddetti "normali" i "matti", la malattia mentale, creando una barriera di fatto invalicabile e rassicurante per i "sani".
nel 1973 Basaglia passa al manicomio di Trieste e ne diviene direttore. Nello stesso anno fonda il movimento Psichiatria Democratica, che darà spazio a tanti giovani psichiatri, convinti che nella relazione tramite la parola con i pazienti, si nasconde un potente elemento della cura.
Basaglia ha creato le condizioni, soprattutto politiche, per la promulgazione della famosa legge 180, che il Parlamento Italiano approva nel 1978, legge ancora in vigore per l'assistenza psichiatrica.
Successivamente Basaglia è chiamato a Roma a dirigere i Servizi Psichiatrici della Regione Lazio.
Come non ricordare anche Franca Ongaro, moglie di Basaglia e sua instancabile collaboratrice, e dopo la sua morte divulgatrice del suo pensiero, anche politico, come senatrice.
Così pure vorrei ricordare Giovanni Jervis, altro psichiatra formatosi con Basaglia all'ospedale di Gorizia, di cui ho studiato con grande interesse il "Manuale critico di psichiatria".
Vorrei anche ricordare l'ottimo film prodotto da Rai Uno: "C'era una volta la città dei matti...", dell'anno 2009, che narra l'esperienza di Franco Basaglia e la drammatica realtà degli ospedali psichiatrici prima della legge 180 (Legge Basaglia).


Le famiglie "ricomposte"

Desidero parlare delle famiglie “ricomposte” o “ricostituite”: sono quelle famiglie composte da partners che escono da precedenti matrimoni o convivenze e che decidono di ricostruirsi una famiglia con un nuovo compagno-a, portando con sé i figli nati dal precedente legame.
Entrambi i termini mi piacciono poco, ma in qualche modo occorre indicare questa tipologia di "famiglie", caratteristiche dei nostri tempi.
Queste nuove forme familiari sono cresciute di molto negli ultimi dieci anni, anche in conseguenza dell'aumento delle separazioni e dei divorzi, addirittura negli USA un terzo dei figli va incontro a questa evenienza familiare.
Secondo gli ultimi dati Istat, le famiglie ricomposte passano dal 16,9% del 1998 al 28% del 2009. Le famiglie ricostituite coniugate sono 629 mila. Nel 37,9% delle coppie ricostituite vivono figli di entrambi i partner e nel 12,9% vivono figli nati sia all’interno della nuova che delle pregresse relazioni di entrambi i partner. 
Queste forme familiari hanno caratteristiche differenti da quelle tradizionali, differenze legate sia alla complessità dei ruoli ricoperti sia agli oggettivi vincoli fisici della nuova struttura familiare: nella famiglia ricostituita la gerarchia adulti-genitori e giovani-figli è più sfumata, sono importanti i legami tra i consanguinei e compare una differenza di “potere” tra l’adulto genitore e quello non-genitore.
La caratteristica di fondo della famiglia ricostituita è di avere dei confini più incerti e ambigui di quella coniugale, in termini sia biologici che giuridici. Tale ambiguità dipende dal grado della complessità strutturale della nuova famiglia: quando entrambi i genitori hanno alle spalle un matrimonio e un divorzio e portano con sè almeno un figlio, la nuova famiglia che creano è strutturalmente molto complessa.
Le famiglie ricomposte vivono la crisi di chi, con storie diverse e diversi modi di affrontare i problemi, deve trovare un adattamento per affrontare insieme le nuove situazioni. Sono soprattutto i figli a segnalare, con i sintomi più disparati, la difficoltà di accogliere il nuovo equilibrio che si viene a creare dopo la separazione con entrambi i genitori. Si possono osservare, ad esempio, la comparsa di difficoltà scolastiche, di problemi nel ciclo sonno-veglia e di enuresi nei bambini, o l’inasprirsi dei conflitti, di comportamenti devianti e disturbi alimentari negli adolescenti.
I partners al secondo matrimonio/convivenza devono affrontare un compito particolare, integrare se stessi e i propri figli all'interno della nuova struttura della famiglia ricostituita. Per ogni individuo, quest’integrazione implica una rielaborazione del proprio modello di famiglia e delle proprie aspettative verso la vita familiare. Questa sfida al concetto di famiglia dell’individuo, può contribuire al senso di shock e di disorientamento riportato da molte persone riaccompagnate.
Le ricerche finora condotte mostrano che le seconde nozze sono ancora più fragili delle prime: le persone divorziate che si risposano, divorziano nuovamente con una frequenza maggiore di quelle che si sposano per la prima volta. Ciò può avvenire sia perché sono più disposte a ricorrere al divorzio qualora il matrimonio sia infelice, sia perché la qualità del rapporto che nasce con le seconde nozze è spesso più difficile da gestire di quello delle prime nozze, ma anche perché non sono ancora pienamente istituzionalizzate.
Il problema di queste nuove forme familiari è prettamente relazionale e di comunicazione. Non sempre, infatti, l’integrazione di membri appartenenti a due famiglie diverse riesce come si vorrebbe. In questi casi, occorre prendere in considerazione l’idea di cercare un aiuto esterno, in particolare se i figli mostrano marcata ostilità verso il nuovo arrivato, se questa è causa di forte stress per i due membri della coppia, o la difficoltà stessa di essere riconosciuti come famiglia dalla famiglia d’origine della coppia, la difficoltà di condividere ruoli genitoriali con gli ex coniugi, la difficoltà nell’assunzione di compiti relativi all’educazione e alla cura dei figli non biologici.
Tante e diverse possono essere le ragioni per cui la nuova famiglia ricomposta potrebbe non funzionare: importante sarebbe migliorare la comunicazione e stabilire ruoli e confini fra i vari membri della famiglia, in modo da rendere l’atmosfera più serena.



Lo stress da lavoro



Lo stress è il secondo tra i problemi di salute legato all’attività lavorativa. Colpisce, nei 28 Stati membri dell’Unione, quasi un lavoratore su quattro con un costo annuo che viene stimato in circa 25 miliardi di euro. Più della metà delle giornate lavorative perse è dovuta a stress. Per sette lavoratori italiani su dieci le cause più comuni dello stress sono legate alla organizzazione del lavoro, ai carichi eccessivi ed agli orari.
Oltre sei lavoratori italiani su dieci indicano fra le cause di stress anche la mancanza di sostegno da parte dei colleghi o superiori e comportamenti inaccettabili come il bullismo, le molestie o legano lo stress a ruoli e responsabilità poco chiare. Al contrario, solo quattro lavoratori italiani di dieci ritengono che i fenomeni di stress siano rari mentre uno su venti nega addirittura si verifichino fenomeni del genere. 
Questi, e molti altri dati e relative analisi, sono stati pubblicati dal Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi Italiani nel volume a cura di Imma Tomay "Rischio stress lavoro correlato. Le competenze dello psicologo nella valutazione e gestione". Liguori, 2013. 
I dati riportati sono davvero clamorosi, mi colpisce soprattutto la parte di studio in cui si fa riferimento alle relazioni tra i soggetti al lavoro, colleghi, capi e sottoposti, come parte preponderante nella creazione e nel mantenimento di situazioni stressanti.
Ovvero, a parte la difficoltà "oggettiva" del lavoro che si svolge, sempre più peso hanno le relazioni tra i lavoratori stessi, operai, impiegati o quadri.
Relazioni che possono essere fonte di benessere e soddisfazione personale o, al contrario, fonte primaria di quello stress lavoro-correlato, cui faccio riferimento.
Molti anni fa, prima della mia formazione in psicologia clinica, ho lavorato nella sede italiana della multinazionale americana General Electric, al servizio del Personale.
Ero l'unico psicologo, guardato con curiosità ed un po' di sospetto da dipendenti e superiori.
All'inizio i colleghi del Personale avevano timore di me, e pensavano che li avrei "psicoanalizzati", magari solo guardandoli negli occhi, per carpire loro segreti e fragilità lavorative da riferire non si sa bene a chi…!
Sin dall'inizio mi ero trovato contro soprattutto il Direttore dei Servizi Informatici dell'azienda, uomo temuto e molto apprezzato dal Presidente americano della Società.
Ero stato sfidato pubblicamente diverse volte da lui con messaggi del tipo: "A che serve la psicologia se dobbiamo combattere con i nostri concorrenti, agguerriti e con prodotti di alta tecnologia…"
Ovviamente facevo la parte del poveretto, difeso giusto per senso di pena dal mio Capo, ma facente parte dell'arredo dell'ufficio del Personale
A quei tempi si assumeva molto, così come molte persone se ne andavano per offerte lavorative migliori. A seguito delle dimissioni di una persona importante al Servizio Informatico, invano trattenuta dal Direttore, mi ero permesso di fare un colloquio di uscita con la persona dimissionaria. La persona in oggetto, dato che non aveva nulla da perdere poté confidare criticità e aspettative sue e dei colleghi del Servizio Informatico.
Preparai un dossier "qualitativo" da inviare al Direttore del Servizio Informatico e al mio Capo al Servizio Personale.
Con grande sorpresa una sera vidi giungere al mio ufficio il Direttore dei Servizi Informatici, con il mio scritto pieno di sottolineature. All'inizio pensai ad un attacco frontale, invece la persona espresse molto interesse per quanto avevo scritto, ed aveva voglia di parlare di molte criticità che avevo riscontrato nel suo Servizio.
Insomma ci siamo visti molte volte, per parlare del clima lavorativo dei suoi "informatici", di possibili migliorie e spostamenti di persone, a parità di mansione.
Abbiamo ridisegnato la struttura organizzativa della sua divisione, ed introdotto il Role Playing tra i suoi collaboratori.
Il Direttore ammise che molte mie osservazioni gli erano state utili, ed avrebbe ancora utilizzato le mie competenze prima di prendere decisioni relative ai suoi "ragazzi".
Sembra una storia a lieto fine… In effetti il Direttore aveva cominciato a considerarmi una risorsa, un alleato, che poneva attenzione ad elementi che per lui avevano poca importanza.
Soprattutto era stupito e incuriosito dall'importanza che davo al clima lavorativo, alla relazione tra le persone, al dialogo, alle riunioni di gruppo con obiettivi condivisi ed alla riduzione dello stress lavorativo.
Stress lavorativo che in quegli anni iniziava ad essere studiato anche da noi, purtroppo dai pochi psicologi del lavoro presenti in grandi aziende, legati agli ambienti universitari della Cattolica o di Padova. 



I figli di genitori separati



Le statistiche ci dicono che sempre più coppie, con o senza figli si separano o divorziano. Mi interessa, in questo caso, scrivere delle coppie i cui figli si trovano nel mezzo di tali eventi, spesso poco preparati ad affrontarli.
Intendiamoci, non desidero dare connotazioni morali o religiose, rispetto alla scelta di separarsi o meno, desidero affrontare la questione dal punto di vista psicologico e dalla parte dei figli.
Un primo dato che mi colpisce è quanto poco i genitori si sentano "in dovere" di comunicare quanto sta succedendo in casa, se non a cose fatte...! Capisco bene che sia difficile intavolare un discorso compiuto con i figli su quanto sta accadendo tra papà e mamma, soprattutto se i figli sono bambini o ragazzini, quindi molto vulnerabili emotivamente (anche se dotati di iPad, iPhone e iqualche cosa...).
Spesso nei colloqui con coppie in crisi, assisto a tristi palleggiamenti di colpe che inevitabilmente ricadono nella frase: "Adesso LO DICI TU ai ragazzi che ci separiamo, mica lo DEVO DIRE IO..."
Cerco allora di fare comprendere ai genitori che, se vogliono davvero bene ai loro figli, tali frasi sono veleno. I figli hanno impellente bisogno di sentire che entrambi i genitori non faranno mai mancare il loro amore e la loro premura, gli affari di coppia devono rimanere qualcosa tra i genitori stessi.
E' decisamente importante che i genitori, con le parole che vorranno o potranno dire, esprimano il dolore per la separazione imminente, rassicurando al contempo i ragazzi che ci saranno sempre per loro.
Anche qui, non basta certo una sola comunicazione "ufficiale" tutti attorno al tavolo della cucina, per risolvere la questione...
Consiglio sempre ai genitori di ipotizzare molti momenti in cui tutti assieme o separatamente, è possibile parlare di quanto avviene, per consentire ai figli di dire della loro paura, dello sconcerto e della rabbia, per le scelte dei genitori.
Molti genitori si butterebbero dall'aereo senza paracadute piuttosto che affrontare questi angosciosi momenti, e fare il genitore, come diceva Freud è un mestiere "impossibile".
Evito naturalmente di parlare di quei mezzucci, spesso utilizzati da taluni genitori, come usare l'alibi del lavoro che impegna tantissimo, o comperare il bene dei figli con regali, viaggi ecc. per mostrare che l'altro genitore si interessa poco ai ragazzi.
Diciamo di essere ancora all'interno di una "fisiologia" della separazione tra genitori, quando padre e madre, pur non amandosi più, riescono a "tenere" aperto un canale di comunicazione, nel pensiero del bene comune rappresentato dai figli.
"Fisiologia" della separazione che può comportare naturalmente tensioni o diversità di vedute sull'educazione dei figli, del resto non ne sono esenti nemmeno le coppie "non separate".
Il punto nodale è se i genitori sono capaci di mantenere le tensioni nelle loro menti, senza passare ad azioni concrete, e farle ricadere sui figli, usati come ambasciatori, alleati o peggio ancora ostaggi.
Credo proprio che una della attività più importanti per uno psicologo, ai giorni nostri, possa essere la consultazione con dei genitori disponibili a cercare assieme a lui dei sentieri per preservare i figli dal trauma della separazione degli adulti, a dimostrazione che se l'amore di coppia finisce o si trasforma, quello per i figli può essere vissuto ancora appieno.







Aumento esponenziale dei casi di depressione

Riporto per intero l'intervento del Dr. Palma, presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi, sul forte aumento dei casi di depressione

Depressione: “Governo investa in terapie psicologiche”
Roma, 14 gennaio 2014. “Nel nostro Paese si sta registrando un aumento esponenziale dei casi di
depressione: è un fenomeno che riguarda ormai quasi un cittadino su cinque, neonati compresi,
con un fortissimo impatto in termini di costi sociali”.
Così Giuseppe Luigi Palma, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi.
“Serve che il Governo – dice ancora - investa in terapie psicologiche, in grado di fornire interventi
qualificati di prevenzione e terapia ai cittadini ed alla comunità, attivando e potenziando i servizi
psicologici negli ospedali e nel territorio: e che ciò sia urgente lo confermano anche i dati
dell’Organizzazione mondiale della Sanità che prevede che la depressione rappresenterà, nel
Pianeta, il secondo dei mali più diffusi, subito dopo le patologie cardiovascolari”.
“Questi investimenti – spiega Palma - possono avvenire in coerenze con le politiche di
contenimento della spesa pubblica e di spending review: essi, infatti, consentirebbero una
riduzione della spesa farmaceutica conseguente alla contrazione mirata del consumo dei farmaci e
delle minori assenze sul lavoro che produrrebbero a loro volta una maggiore produttività a tutto
vantaggio dell’andamento dell’economia del Paese”.
“In questa direzione – prosegue - si stanno muovendo molti Paesi europei: tra questi l’Inghilterra che,
negli ultimi anni, ha quasi quadruplicato gli investimenti in terapie psicologiche, basandosi
anche sull’evidenze scientifiche disponibili che dimostrano come la psicoterapia sia efficace quanto
i farmaci nel trattamento di questi problemi e più efficace nel mantenimento degli effetti e
nell’evitare le ricadute dopo la cura”.
Palma ricorda infine come “il nostro Paese ha una buona legge sulla psicologia e sulla psicoterapia;
dispone di professionisti competenti con alti livelli di formazione con cinque anni di laurea e
almeno quattro di specializzazione”
“E’ uno spreco di competenze e conoscenze – conclude - che solo a pochi cittadini vengano fornite -
negli Ospedali o nelle Asl - risposte integrate e più attente alle loro specifiche esigenze”.