Il "bene" vince sempre sul "male"...?

  

© Copertina libro Raffaello Cortina Editore
Cosa succede se si mette della brava gente in un posto “cattivo”? Riuscirà il bene a vincere sul male o, piuttosto, trionferà il male? Può una persona buona commettere atti malvagi? Qual è il limite attraverso il quale nelle persone si scatena il male? Sono le situazioni in cui veniamo posti che determinano il nostro comportamento?


Nell'anno 1971 lo psicologo Philip Zimbardo (di origini italiane), docente all'Università di Stanford ideò un'esperimento che intendeva riprodurre una situazione carceraria con dei volontari per studiare il loro comportamento. Nei sotterranei di un edificio fu ricostruito un carcere ove fare interagire 24 studenti universitari per svolgere i ruoli di detenuti e guardie. Tutti i ragazzi vennero intervistati e sottoposti ad una batteria di test di personalità al fine di eliminare quelli con problemi psicologici, malattie o precedenti criminali e/o di abuso di droghe. I volontari decisero di partecipare per un periodo di due settimane in cambio di 15 dollari al giorno. 12 diventarono guardie carcerarie, gli altri 12 i loro prigionieri. In questo esperimento non c’erano mezze misure; affinché lo studio potesse essere efficace, doveva avvicinarsi il più possibile all’esperienza reale dei prigionieri e delle guardie.
I “prigionieri” vennero arrestati e prelevati con una macchina della polizia a sirene spiegate, mentre svolgevano le loro attività quotidiane. Poi furono loro rilevate le impronte digitali, furono bendati e messi in una cella, spogliati e perquisiti. Venne loro data una divisa e un numero.
Gli altri partecipanti vennero trasformati in guardie e perciò vestiti in uniforme e dotati di manganello.
Ogni cella ospitava tre prigionieri e comprendeva tre lettini. Altre camere erano utilizzate per le guardie carcerarie. Uno spazio molto piccolo era designato come la camera di isolamento “il buco”, e un’altra piccola stanza serviva da cortile della prigione. Zimbardo e collaboratori osservavano il comportamento dei prigionieri e delle guardie con telecamere nascoste e microfoni. 
Dopo solo due giorni dall'inizio dell'esperimento accaddero i primi episodi di violenza tra i "detenuti" e le "guardie". Scontri sia verbali che fisici, intimidazioni ed umiliazioni. I detenuti spesso non obbedivano agli ordini ed alle consegne delle guardie che erano sempre più aggressive e sadiche nei confronti dei prigionieri. Al quinto giorno vi fu una rivolta da parte di alcuni prigionieri e la rappresaglia delle guardie fu rapida e brutale: vennero rimossi i letti dalle celle, i "rivoltosi" furono sbattuti in isolamento e tutti i “prigionieri” incominciarono ad essere picchiati. Al sesto giorno la situazione stava volgendo al dramma. Sconcertato, Zimbardo decise di interrompere immediatamente l'esperimento. 
Ma a quali effetti erano andati incontro le persone coinvolte?
I giovani che precedentemente all’esperimento si erano dichiarati pacifisti, nel loro ruolo di guardie, umiliarono e aggredirono fisicamente e verbalmente i “prigionieri”; alcuni di essi addirittura segnalarono piacere nel farlo.
I “detenuti", nel frattempo, cominciarono rapidamente a mostrare i classici segni del crollo emotivo, assomigliavano a prigionieri di guerra o pazienti di un ospedale psichiatrico. 
Lo stesso Zimbardo ammise di essersi immerso nel ruolo di “direttore della prigione”. Uno dei risultati più importanti dell'esperimento fu proprio la sua personale trasformazione in una figura istituzionale rigida; una figura più interessata alla sicurezza della sua prigione piuttosto che al benessere dei suoi partecipanti. Zimbardo stava perdendo il contatto con la realtà, la "prigione" era divenuta la sua realtà e lui si stava trasformando in Lucifero! Alla divulgazione dell'esperimento vi furono molte critiche, venne anche definito immorale. Al di là del giudizio sull'esperimento, però occorre porsi qualche interrogativo: in quale momento od in quale situazione una persona "normale" attraversa il confine tra il bene ed il male? Scrive Zimbardo: 
Possono avvenire trasformazioni del carattere umano in nuove  “situazioni sociali”, in cui le forze situazionali sociali sono sufficientemente potenti da riuscire a sopraffare, o a sopprimere temporaneamente, attributi personali di moralità, di compassione, o senso di giustizia.
Studi successivi (Penitenziario USA di Rikers, 1995) hanno cercato di comprendere come le guardie possano non percepire sensi di colpa derivanti dalle violenze inflitte ai detenuti. Alcune guardie non si rendevano davvero conto della tragica trasformazione in aguzzini, sul posto di lavoro. In quel carcere i livelli di violenza contro i detenuti erano così alti che molte guardie furono ufficialmente accusate di aver inflitto gravi aggressioni ai prigionieri e condannate a pesanti pene.
Molti ricorderanno le drammatiche immagini della prigione di Abu Ghraib, soldati e soldatesse che umiliavano e torturavano i prigionieri, con tanto di foto e selfie mettendosi in posa e sorridendo...
lo stesso Zimbardo suggeriva che gli abusi di Abu Ghraib potrebbero essere stati esempi reali degli stessi risultati osservati nel suo esperimento. Non a caso nel 2004 in qualità di perito partecipò al processo contro i militari americani colpevoli delle vessazioni sui prigionieri nel famigerato carcere iracheno.
Scrive Zimbardo nel suo libro:
Il male è l’esercizio del potere di nuocere intenzionalmente (psicologicamente), di procurare dolore (fisicamente), o distruggere (mortalmente o spiritualmente) altri. Solo poche persone sono in grado di resistere alla tentazione di cedere al potere e al dominio"

 

Philip G. Zimbardo, L'effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, Raffaello Cortina, Milano 2008

La storia di Michele

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Michele non dimenticherà mai il giorno in cui mise piede a Parigi. L’aeroporto Charles de Gaulle lo accolse con il suo caos, annunci in francese che scorrevano veloci e il brusio di una città che non dorme mai. Aveva 25 anni, un buon lavoro e un biglietto di sola andata verso un futuro che, almeno nella sua mente, sembrava perfetto.
Le prime settimane furono un turbinio di emozioni. Camminava lungo le rive della Senna come se stesse vivendo in una cartolina, assaporando ogni dettaglio: il profumo del pane appena sfornato, il vociare dei caffè, le note di un violino sul Pont Neuf. Al lavoro, i colleghi erano cordiali, la lingua di lavoro era l’inglese, che Michele parlava molto bene e si sentiva vivo, capace, pronto a conquistare la città dei sogni.
Ma, col passare dei mesi, la magia cominciò a dissolversi. Sempre più spesso doveva confrontarsi con testi, telefonate e riunioni in francese. Michele aveva studiato il francese ma gli sfuggivano le sfumature e molte battute dei colleghi in riunione lo facevano sentire fuori posto. Le mail e le riunioni, un tempo in inglese, divennero fonte di ansia: interpretazioni possibili, sfumature culturali, toni da decifrare. Michele cominciò a controllare decine di volte ogni messaggio prima di inviarlo, con il cuore che batteva forte e le mani che tremavano leggermente.
Il lavoro, da stimolante, diventò opprimente. Le responsabilità crescevano e ogni decisione pesava come un macigno. La sera, nel piccolo monolocale in affitto, il silenzio era il suo peggior nemico. Michele non dormiva più di quattro-cinque ore per notte. Ogni rumore – un clacson, il passo di un vicino, il ticchettio dell’orologio – lo faceva sobbalzare. I pensieri correvano incessanti: “Non sto facendo abbastanza… Non mi adatterò mai… Forse ho sbagliato tutto.”
L’insonnia portò con sé altri sintomi: perdita di appetito, difficoltà a concentrarsi, irritabilità. Le passeggiate nei parchi e le visite ai musei, un tempo fonte di gioia, ora sembravano compiti pesanti. Michele sentiva un senso di colpa verso se stesso: aveva lasciato Catania per un sogno, e invece si sentiva intrappolato in una città che amava ma che allo stesso tempo lo intimidiva.
Fu allora che decise di chiedere aiuto. Iniziò a frequentare una terapeuta italiana che gli propose un percorso di psicoterapia. Michele imparò a osservare i propri pensieri senza esserne travolto. Scoprì che l’ansia poteva essere gestita, che il sonno poteva essere protetto con piccole routine: ridurre la caffeina, respirazioni profonde e meditazione serale.
La terapeuta lo incoraggiò anche a costruire una rete sociale: partecipare a gruppi di expat, corsi di lingua ed eventi culturali. Michele iniziò lentamente a incontrare persone con esperienze simili. Raccontare le proprie difficoltà e ascoltare quelle altrui lo fece sentire meno solo.
Con il tempo, le notti cominciarono a diventare più tranquille. Le giornate di lavoro, pur impegnative, non lo angosciavano più. Imparò a celebrare i piccoli successi: una presentazione in francese senza ansia, un pranzo con un collega, un pomeriggio ad un museo senza sentirsi sopraffatto. La città ora lo spaventava di meno, come un enorme puzzle in cui stava lentamente trovando il suo posto.
Michele poi si rese conto di un aspetto da lui poco considerato, che ora gli pesava sempre più. Il clima di Parigi. I suoi colleghi di lavoro ne erano entusiasti ma lui, catanese di origine, non riusciva proprio ad adattarsi. Gli mancava il sole ed il mare della sua bella terra. Senza pensarci troppo decise di trasferirsi appena un posto di lavoro della sua azienda si liberò nella filiale di Nizza.
Ne parlò con la terapeuta che sostenne la sua decisione ed in poche settimane Michele scese al “sud”. Consapevole dell’importanza del percorso psicologico intrapreso a Parigi cercò anche a Nizza un terapeuta italiano per proseguire il lavoro di introspezione già ben avviato.
Michele aveva vissuto il trasferimento a Nizza come: “Il secondo tempo di un film, in cui la trama si amplia e si comprende meglio la narrazione (parole sue)”.  
L’impatto con Nizza era stato molto positivo, anche per il gran numero di italiani trasferiti o residenti nella città. Consapevole dell’importanza di una buona conoscenza del francese si era subito iscritto ad un’associazione culturale per seguire lezioni ed uscite culturali, rigorosamente in francese. Il lavoro di psicoterapia ora poteva mettere a fuoco il suo desiderio di avere una compagna. In seduta aveva ammesso che gran parte del suo volere lasciare Catania era legato ad una delusione amorosa di una sua ex compagna di scuola con cui era stato per molti anni. Lei lo aveva lasciato di colpo per un altro e Michele aveva vissuto delle crisi di angoscia a seguito di ciò.
Nizza invogliava Michele a “socializzare” molto di più. Già nel suo ufficio aveva conosciuto una collega ed un venditore italiani, con cui spesso usciva alla sera per un bicchiere in compagnia.
Anzi meglio, la collega napoletana, che aveva preso in simpatia Michele gli aveva presentato di li a poco una concittadina “single”. Michele e Giovanna hanno così cominciato a frequentarsi e quasi senza accorgersene si sono “messi assieme”.
Michele ora utilizza le sedute per analizzare i suoi sentimenti verso Giovanna che lo attrae molto e che considera una persona di valore. Giovanna dal canto suo è consapevole e desiderosa di avere una relazione appagante con un ragazzo maturo quale è Michele.
Nessuno può sapere cosa riserverà il futuro a Giovanna e Michele. Ora i due ragazzi sono consapevoli e desiderosi di conoscersi e giocare al meglio le carte che il destino ha loro consegnato…

Il testo è redatto nel rispetto del Codice della Privacy-GDPR-regolamento UE 2016/67 







Festa delle Associazioni, giardino della Place Wilson


L'Associazione SOREMAX (loi 1901) di cui sono co-fondatore sarà presente al jardin de la Place Wilson sabato 13 settembre assieme a tante altre Associazioni.

 

La Mairie de Nice tramite la sua Maison des Associations intende fare conoscere la moltitudine di Associazioni che, soprattutto tramite volontari, si occupano di promozione del benessere, della salute, della consapevolezza civile e solidarietà nella città di Nizza.

 

 


Per maggiori informazioni consultate il sito seguente:
 
https://www.nice.fr/agenda/nice-fete-sa-rentree/