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NIENTE SARÀ PIÙ COME PRIMA. L’AMORE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Scritto del collega Roberto Carnevali pubblicato su "Pratica Psicoterapeutica"


Photo : ©Sortiraparis.com
WORK IN PROGRESS N. 22
1 - 2020 mese di Giugno

Ho atteso a lungo prima di cominciare a scrivere le mie riflessioni su ciò che sta accadendo nel mondo e sui risvolti che potrà avere sulla vita di ciascuno di noi. Ogni giorno succede qualcosa di nuovo, e fermare un momento specifico è sempre arbitrario, e passibile di ulteriori cambiamenti di opinione. Se penso che il 14 febbraio, San Valentino, sono andato, quasi provocatoriamente, con mia moglie a cena in un ristorante cinese in cui andiamo spesso, che era ancora piuttosto affollato, sulla scia di quello che molti, anche scienziati, dicevano, relativamente alla mortalità di una normale influenza che era equivalente, se non addirittura superiore, a quella del Coronavirus, mi vengono i brividi.
Sono passati due mesi da quel giorno, e ciò che veniva scritto, detto e soprattutto pensato da persone competenti e depositarie della comunicazione si è trasformato radicalmente, e oggi chi cerca di minimizzare viene vissuto da tutti coloro a cui è rimasto un po’ di senno come uno scriteriato che rischia di ostacolare il lento percorso di recupero che può riportarci a una condizione di “normalità”.
Già, “normalità”. Un primo punto su cui voglio soffermarmi è l’idea di normalità. Se già in passato, pensando al lavoro della “cura”, faticavo a ricondurlo all’idea di un percorso teso al recupero della normalità, oggi mi sembra che quest’idea sia inconcepibile. Le “norme” che oggi dobbiamo applicare, perché l’umanità non finisca in rovina, si collegano a procedure che solo due mesi fa sarebbero state ricondotte a un disturbo ossessivo compulsivo. Il comportamento corretto e doveroso per non contagiare e non contagiarsi è quello che viene diagnosticato come “fobico-ossessivo”. Meglio lavare le mani una volta in più che una volta in meno; non bisogna toccare le maniglie, stringere la mano, avere contatti corporei che comportino possibile passaggio di liquidi; sanitari, asciugamani, bicchieri, posate, tovaglioli... non devono toccarsi l’uno con l’altro, ciascuno deve avere il suo, e se c’è il dubbio che ci sia stata una qualche “contaminazione” bisogna lavare, sterilizzare... Sembra davvero la descrizione dei sintomi del DOC.
E pensando a certi lavori che fino a tre mesi fa venivano accettati e cercati da tutti senza problemi, oggi ci dobbiamo chiedere come potranno mai riprendere ad essere svolti.
Pensiamo a un parrucchiere, che oggi è fermo, ma si auspica che in un prossimo futuro possa essere nella condizione, in teoria, di poter riprendere l’attività: non potrà stare a una distanza di sicurezza dal cliente, e non potrà evitare di rivolgere il viso verso di lui; dovrà portare la mascherina ed essere certo, per tutto il tempo in cui si occupa del cliente, di non starnutire, di non avere lacrimazione agli occhi né prurito in faccia, e se per caso dovesse capitargli di entrare in contatto con la propria saliva, le proprie lacrime o il proprio sudore dovrebbe fermarsi in ciò che sta facendo, togliere la mascherina, i guanti (che chiaramente deve avere, e che dovrebbe sostituire), lavarsi il viso, le mani, asciugarsi in un asciugamano monouso che nessun altro deve usare e riprendere il lavoro sul cliente; e abbiamo visto solo la parte relativa al corpo del parrucchiere. Veniamo agli strumenti. Le forbici devono chiaramente essere sterilizzate, e per sicurezza dovrebbero stare in una busta sigillata e, una volta che la busta è stata aperta, non devono essere appoggiate su un ripiano o sul lavandino, ma tenute in mano, senza che tocchino null’altro che i capelli del cliente fino alla fine del taglio. E il lavaggio? Alcuni lo fanno prima del taglio, altri dopo, altri prima e dopo. In ogni caso si pongono problemi di vario genere. È impossibile, lavando i capelli e asciugandoli, non entrare in contatto con parti del viso che possono avere residui di microgocce di liquido lacrimale o salivare; l’asciugamano per la prima asciugatura (a cui segue l’uso del phon) è inevitabilmente potenzialmente infetto, e dunque non solo va buttato in un contenitore da cui poi verrà preso per essere sterilizzato, ma comporta anche un cambio di guanti e un lavaggio delle mani, a cui seguirà l’asciugatura con il phon, nella quale si dovrà avere un’attenzione minuziosa, soprattutto se la persona ha una lunga e folta capigliatura, a che questa non entri mai in contatto con il phon, o il casco, o lo strumento che comunque viene usato per l’asciugatura, e tutte le superfici che entrano in contatto coi capelli e le parti del corpo del cliente devono, per sicurezza, essere sterilizzate tra un lavaggio e l’altro. Se per caso, come spesso accade, il parrucchiere ritiene opportuno un piccolo ritocco del taglio dopo l’asciugatura, deve prendere un altro paio di forbici sterilizzate e, dopo un ulteriore cambio di guanti e lavaggio di mani, procedere all’operazione. Se il parrucchiere ha un’allergia da pollini o un semplice raffreddore, e nella mezz’ora, o più, del lavoro starnutisce, ha lacrimazione o altro, le operazioni si moltiplicano, intrecciandosi con le potenziali contaminazioni dovute a ciò che di volta in volta si sta facendo. Non continuo. È chiaro che c’è di che impazzire.

Ho molti amici nel mondo del teatro. In quest’ambito, il pensiero di un ritorno alla normalità non è percorribile. Un’amica attrice, a mo’ di amara battuta, diceva che nella prossima stagione si potranno rappresentare solo monologhi in sale enormi riempite (si fa per dire) per meno di un quarto della loro capienza. In sostanza non si potrà riprendere. Il genere di spettacoli sarebbe estremamente ripetitivo e gli incassi non arriverebbero a coprire che una parte infinitesima delle spese, portando tutte le sale alla chiusura definitiva.

Credo che questi due esempi siano più che sufficienti.
Ma non sono questi aspetti a giustificare l’affermazione che niente sarà più come prima, o almeno non solo questi. Ci sono lavori, e lo psicoterapeuta è fra questi, che svolti di persona  nel contesto abituale di uno studio comportano misure di sicurezza che scoraggiano l’idea di essere intrapresi, ma che hanno la possibilità di essere svolti a distanza con l’uso degli strumenti che la tecnologia informatica ci mette a disposizione.

Si tratta quindi di adattare il setting trasferendolo in una modalità nella quale alcuni aspetti diventano di necessità virtuali, ma dove sia possibile mantenere saldi alcuni elementi basilari che mantengano inalterate la natura e la qualità della prestazione. Su questo molto si è scritto quando il virtuale rappresentava un’opportunità che alcuni di noi concedevano a se stessi e ai pazienti in circostanze particolari, e che altri invece rifiutavano o non consideravano percorribile in nome di una “purezza” del setting che oggi, a mio avviso, non può non essere riconsiderata in altri termini, non solo nella logica di “fare di necessità virtù”, ma anche nella prospettiva di accogliere nella tecnica psicoterapeutica in generale, e psicoanalitica in particolare, la possibilità di usufruire di strumenti che ormai sono entrati a far parte a buon diritto del nostro contesto di vita quotidiana, e che possono estendere, senza snaturarla, l’applicazione della psicoterapia a situazioni nelle quali, solo fino a poco tempo fa, tale applicazione sarebbe risultata impensabile. Ma non è di questo che voglio parlare in questo contesto, ritenendo che l’argomento meriti di essere trattato ampiamente in uno scritto ad esso dedicato.

La maggior facilità di applicazione della psicoterapia nella situazione attuale rispetto ad altre attività lavorative mette lo psicoterapeuta in una condizione privilegiata, nella quale può avere accesso a vari contesti relazionali e ai problemi che i pazienti vivono in tali contesti, letti dal loro vertice ed espressi in una richiesta d’aiuto.
Tra i temi su cui ho potuto riflettere in ormai più di un mese di sedute online fatte in varie forme (Skype, Videochiamata WhatsApp, Zoom per i gruppi, e anche telefono senza video) voglio sottolinearne uno in particolare, che ho messo in evidenza nel titolo di questo scritto. Parafrasando Garcia Marquez, che usa la stessa espressione riferita al colera, ho voluto focalizzare l’attenzione sul tema dell’amore come elemento centrale non solo della vita in generale, ma in particolare di questo momento storico dell’umanità.
L’aiuto che viene richiesto in questo momento è per alcuni rivolto all’interno di se stessi, con un mantenimento della continuità autoreferenziale che fa del Coronavirus e di ciò che si muove intorno un’occasione per rinforzare le proprie barriere difensive in relazione ad un mondo vissuto come insidioso e fonte di pericoli da cui bisogna preservarsi.
Per altri è invece un’occasione per prendere consapevolezza di quanto ciascun essere umano sia immerso in una comunità di persone per la quale può essere fonte di pericolo, ma anche, avendo cura di riflettere sulla portata del proprio “essere al mondo” in relazione agli altri, rappresentare la possibilità di condividere in una forma nuova.
Il trovarsi esposti al paradosso dell’astenersi da forme di contatto corporeo potenzialmente fonti di contagio come espressione di un amore che sa andare “oltre”, ha introdotto nei rapporti umani una forma d’amore nuova e, a mio avviso, estremamente feconda.
Nella perenne dicotomia tra l’amore per se stessi e quello per gli altri, che può essere superata e ricomposta attraverso il costituirsi di un “noi” che fonda un’alleanza costruttiva, la condizione nella quale tutti ci troviamo ci invita a valutare la portata di ogni nostro gesto in funzione del riverbero che ha nella vita degli altri. Giungiamo finalmente a capire che “non possiamo amare noi stessi se non amiamo gli altri”.
Da non credente, mi trovo in questi ultimi tempi a ritenere straordinariamente ricchi e fecondi gli interventi di Papa Francesco. L’idea dell’amore di Dio che ci propone è profondamente umana, immanente, e non necessita di alcuna trascendenza per essere concepita e condivisa.
Niente sarà più come prima se sapremo “amarci gli uni gli altri”, e sarà attraverso questo amore che va al di là degli egoismi (non metto nella parola alcuna implicazione morale) che potremo affrontare e sconfiggere il virus che si annida fra di noi. E se questo potrà costituire una metafora di come possono essere affrontati e sconfitti altri virus che si annidano nella mente di ciascuno, niente sarà più come prima perché sarà meglio di prima. E anche qui, oltre all’inevitabile implicazione morale, voglio evidenziare l’aspetto di fecondità che tale trasformazione potrebbe portare.
Mi fermo qui, offrendo questo spunto di riflessione a un dibattito che spero allarghi il discorso anche ad altri temi, ritenendo comunque che questo sia fondamentale.

di Roberto Carnevali
24/04/2020

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

WORK IN PROGRESS N. 22
1 - 2020 mese di Giugno

Coronavirus: il deconfinamento visto dallo psicologo


Coronavirus: il Deconfinamento Visto dallo PsicologoLa Primavera è esplosa in Riviera e nella Costa Azzurra durante il confinamento a casa imposto dal Coronavirus; Ft ©arvalens

Condivido lo scritto apparso su Monaco Italia Magazine, oggi 3 maggio. 

Coronavirus, com’è possibile che qualcosa di invisibile abbia creato così tanti danni, sul versante sanitario, economico e, in alcuni casi, psicologico?
Per capire il dopo (per l’inizio del deconfinamento nel Principato di Monaco LEGGI) occorre analizzare il prima: qualche mese fa il nostro mondo, non solo occidentale, viveva con il paradigma della libera circolazione delle persone, delle merci e del denaro. Ad esempio a Natale (al solito) eravamo alla ricerca di regali curiosi, particolari e all’ultimo grido. Vedi i cellulari, potenti, ipertecnologici, che ci consentono di essere sempre connessi! Poi d’improvviso tra febbraio e marzo qualcosa di invisibile ci ha colpito e frastornato ed abbiamo imparato questa parola : Coronavirus, una corona si, ma di spine. Ecco allora arrivare il “confinamento”, il distanziamento sociale, i gesti barriera, i cambiamenti della nostra vita e libertà.

Un “Accidente” Microscopico Può Farci Tremare

Psicologicamente la ferita che più ci fa male è il colpo al nostro narcisismo, alla nostra onnipotenza.
La scienza e la tecnica ci rassicurano, ci fanno sentire onnipotenti ed invincibili ma basta un “accidente” microscopico per farci tremare.
Innegabilmente ciò è accaduto a tutti noi, siamo precipitati nel profondo delle nostre paure, dove albergano emozioni soverchianti e difficilmente gestibili chiamate angoscia e depressione.
Quasi tutti i media (giornali e tv) in molti Paesi ci proponevano ogni giorno una dose di informazioni che potremmo chiamare: “Dacci oggi il nostro panico quotidiano…”. Notizie drammatiche, morti, bare, persone in rianimazione, testimonianze terribili di sopravvissuti, numeri e curve in rosso.
Anche le metafore di guerra non hanno aiutato, non siamo in guerra, non ci sono soldati, generali e nemici, ma persone, cittadini del mondo ed un virus. I virus sono sulla terra da milioni di anni e ci resteranno presumibilmente anche quando il genere umano si sarà estinto.

Coronavirus: Fare Tesoro di Quanto Accaduto

A quel punto o ci si lascia portare dalle onde, sconfitti come persone ed arresi al virus o…
O, ricordando che l’umanità è sopravvissuta a eventi catastrofici naturali o indotti dall’uomo stesso come le guerre, umilmente si mantiene la lucidità e si cercano risorse dentro di sé, soprattutto sentendosi parte di una comunità che affronta si una grave evenienza ma è decisa a non arrendersi e… vincere. 
Abbiamo visto reazioni civili come l’applaudire dai balconi, il sostegno al personale sanitario, innumerevoli forme di solidarietà ed attenzione alle persone fragili, l’invenzione di nuove forme di contatto anche se virtuale.
Potremo fare tesoro di quanto accaduto ovvero apprendere dall’esperienza che è quanto di più prezioso possa fare una persona: cos’è veramente importante, quali persone sono importanti per noi e poi dobbiamo sempre correre, ma correre dove?
Il confinamento ci ha costretto a ripensare il modo di lavorare, rivedere le dinamiche familiari, stare con i nostri figli quanto mai fatto prima con annesse gioie e dolori, sentire la mancanza e la nostalgia per luoghi e persone care che non potevamo raggiungere, come al solito, a nostro piacimento…
Sono convinto che nulla sarà più come prima, ma l’accezione non è negativa ma positiva, la nostra società ha bisogno di un bagno di umiltà, tornare con i piedi per terra, sognare si ma per quanto ci rende umani e “sociali”, non per l’ultimo cellulare o per la bella macchina super potente.
Saremo quasi sicuramente costretti quest’estate a pensare vacanze non in luoghi esotici da mostrare su Facebook agli amici ma (anche per quanto riguarda noi italiani) nella nostra bella Italia, fatta non solo di città meravigliose ma di borghi incantevoli, montagne e spiagge invidiabili oltreché trattorie e ristoranti di altissimo livello.
Potremo vivere il deconfinamento (che in Francia avrà inizio l’11 maggio e a Monaco ed in Italia, sebbene con diverse modalità, domani, 4 maggio) come l’occasione per vedere con occhi diversi anzitutto i luoghi bellissimi in cui abbiamo la fortuna di vivere, per esempio e nel Principato di Monaco e in Costa Azzurra, apprezzare momenti di autentica convivialità, rallentare i nostri ritmi quotidiani e ricordare la grande fortuna insita nella nostra libertà. 
Libertà che occorre sempre proteggere dato che basta un “coso” invisibile per mettere Ko quasi metà degli abitanti della terra.



Psicologia e Coronavirus: Come Gestire Emotivamente Questo Difficile Periodo?


Photo : ©Jorge Flores
Riporto l'intervista apparsa su Monaco Italia Magazine, della giornalista Angela Valenti Durazzo, che ringrazio.

Proteggersi dall’epidemia del Covid-19 avendo cura anche della nostra “salute psicologica”. Abbiamo chiesto a Massimo Felici, psicologo e psicoterapeuta italiano a Nizza, come gestire emotivamente, soprattutto per gli italiani all’estero spesso distanti dalle loro famiglie, il tempo che manca alla fine di questo difficile periodo.
Massimo Felici quali sono i motivi principali per cui si rivolgono a lei gli italiani che vivono e lavorano a Nizza, imprenditori, commercianti, ristoratori, studenti ecc?
Mi dicono principalmente di avere paura o di essere tristi. Sono questi i due motivi prevalenti per cui le persone, soprattutto donne e ragazzi, si rivolgono a me. Le prime perché si interrogano di più ed esprimono con più facilità i sentimenti. I secondi, invece sono in gran parte studenti dell’università di Nizza Sophia Antipolis che si sentono tagliati fuori, lontani da casa, dalla famiglia, dagli affetti. Per questo mi sono reso disponibile online, gratuitamente, durante il Covid-19 anche al sabato e alla domenica.
Come si può padroneggiare dunque la paura?
Per prima cosa dobbiamo accettare che la paura è normale e sana. La paura serve per evitare guai: se vedo un animale feroce infatti ho paura e scappo. Serve a proteggerci e a pensare alle soluzioni. Molti mi parlano anche di panico, ma bisogna fare attenzione alle parole. Panico significa perdere il contatto con gli altri. La paura, invece, si affronta se una una persona si sente parte di una comunità, poiché siamo tutti colpiti come comunità dalla pandemia. Per esempio, vicino a me, le persone per ridurre il disagio e lo stress del confinamento salutano quelli del palazzo di fronte e questa è una forma di sana socialità che contrasta paura e stress. Per fare un esempio: spesso il bambino ha paura del buio ma se prende per mano un amichetto o la mamma o il papà, in due la paura si gestisce meglio.
Tenersi costantemente informati ci rassicura?
Ci sono persone che mi hanno raccontato di passare la notte sveglie su internet a guardare le notizie sul coronavirus. E questa ricerca compulsiva è assolutamente da evitare. Essere informati va bene ma bisogna ridurre l’overdose di notizie che non sempre tra l’altro rassicurano, poiché talvolta si contraddicono. 
E cosa dobbiamo dire ai bambini per rassicurarli durante il confinamento a casa?
Dobbiamo stare innanzitutto attenti alle emozioni che trasmettiamo e spiegargli che “abbiamo tutti paura”, rassicurare non vuole dire infatti raccontare bugie. E poi rispettare una quotidianità che comprenda regole della giornata chiare, orari, niente tute e pigiami in casa, se no si scivola nella depressione, social media, ma non passare l’intera giornata su internet e telefonini. E poi le emozioni positive sono fonte di serenità, quindi dipingere, leggere, creare, assecondare una propria passione, fare ginnastica, approfittare per riflettere sulle cose della vita, non lasciarsi sconfiggere dal virus prima ancora di avere “combattuto”. 
Quale atteggiamento avremo quando ci metteremo alle spalle questa pandemia che sta sconvolgendo il mondo?
Quando ne usciremo ci sarà presumibilmente, gran voglia di vivere, i rapporti umani verranno rivisti, non solo in negativo, ma anche in positivo. Si vedrà l’importanza di esserci posti degli interrogativi e la voglia di rimetterci in gioco. Non dimentichiamoci che gli Italiani hanno grandi risorse che si vedono nei momenti drammatici. Inoltre, usciti di casa, ritroveremo le bellezze della nostra Italia.

di Angela Valenti Durazzo

Logo : ©Monaco Italia Magazine

Medici e psicologi italiani all'estero uniti contro il coronavirus

Consulenze gratuite sul tema coronavirus per gli italiani residenti nei vari paesi europei. Primo incontro virtuale di medici e psicologi con la Senatrice Garavini e lo staff del progetto. Buon lavoro a noi tutti...


Photo : ©Davincisalute













Consultazioni mediche e psicologiche gratuite sul coronavirus


Una interessante iniziativa per venire incontro alle tante domande sia mediche che psicologiche sul tema dell'emergenza coronavirus, in lingua italiana.
Medici e psicologi italiani presenti in varie nazioni europee sono a disposizione dei connazionali che volessero informazioni, aggiornamenti o esprimere le loro preoccupazioni in questo difficile momento.

Le consultazioni per il coronavirus sono completamente gratuite

Guarda il video informativo...


A proposito dei cinesi...


 
Photo : ©KaisaNet
Non possiamo (giustamente) che ringraziare medici e paramedici cinesi ed essere grati per le tonnellate di materiale sanitario che provengono dalla Cina in aiuto al personale degli ospedali della Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio, regioni così pesantemente colpite dall'emergenza coronavirus.
Molto di questo materiale è acquistato in Cina e qualcuno ora si dispiace che noi europei abbiamo lasciato produrre ai cinesi praticamente di tutto: prodotti base per farmaci etici, materiale disposable sanitario, attrezzature e le famose mascherine. Ciò in nome dei costi ridotti, che ora si ritorcono su di noi, che saremo costretti a comperarli a prezzi aumentati.

Qualche riflessione sulla Cina, assolutamente personale:
Anni fa sono stato in Cina oltre un mese, ospite (fortunato) di un alto dirigente di una banca italiana ed invitato addirittura ad una cena all'Ambasciata Italiana a Pechino per il tramite di una amica di famiglia.
Giusto per capire l'appartamento in cui ero ospitato, nella zona di Pechino riservata agli stranieri era composto da sei stanze e tre bagni, non pulito ma limpido, si poteva mangiare per terra!
Veniva giornalmente una Ahi (domestica) a fare le pulizie ed ho scoperto che era anche guaritrice.
Un bel giorno di ritorno da una estenuante camminata alla Grande Muraglia, che è davvero impervia in alcuni tratti, mi sono ritrovato con la febbre a 39.
E' stato chiamato il medico cinese della banca che mi ha visitato. Ha parlato con la Ahi e, strano a dirsi, ha affidato a lei il compito di curarmi. Io ero esterrefatto, ma il mio amico bancario mi ha detto che è consueto se la Ahi è anche guaritrice! Ebbene la donna mi ha fatto uno strano rituale con parole per me incomprensibili ed ha messo le mani sulla gola per scacciare le entità maligne.
Il giorno dopo ero sfebbrato e sconcertato! Ho ringraziato lungamente la Ahi che non ha assolutamente voluto essere pagata da me dato che considerava un onore avere curato un signore occidentale... Ebbene le persone che ho incontrato, anche nel corso del viaggio per tutta la Cina, erano estremamente gentili, servizievoli e curiose nei confronti degli stranieri, soprattutto italiani. Con tutte le difficoltà della lingua ho sempre incontrato donne e uomini cortesissimi e sorridenti, che si facevano in quattro per darmi aiuto ed assistermi. A Xi'An, praticamente si è fermato il traffico della via principale perchè tutti mi volevano aiutare a raggiungere il famoso esercito di terracotta (magnifico). Sono giunto al sito scortato da una decina di persone sorridenti ed orgogliose di potermi mostrare tale bellezza. Mai nessuno ha voluto denaro, al più una fotografia con me! E poi gente dappertutto, tantissime persone ovunque, in strada, sui mezzi pubblici, nei musei, nelle stazioni, nei mercati e nei locali per mangiare.

Lavorare e vivere in Cina:
Sovente mi sono ritrovato tra vari manager di importanti Società italiane Fiat, Eni, Techint ed ovviamente banche d'affari che si riunivano tra loro per cene nelle eleganti case riservate agli stranieri e non capivo perché i dialoghi, di colpo, in presenza di personale di servizio cinese cambiavano tono e diventavano futili. E' presto detto: non una sola delle persone di servizio era tale, si trattava di funzionari dei servizi interni (segreti) messi apposta li per carpire informazioni...
Un autista di un manager italiano, che diceva di non capire nulla della nostra lingua, era stato beccato a parlare con una graziosa turista italica, giusto per abbordarla!
Pensate: un giovane manager dell'Ansaldo viaggiava spesso con omologhi cinesi per lavoro, e stava cercando di imparare un po' di cinese tra le risa divertite dei suoi "colleghi". Orbene il nostro non solo capiva benissimo il mandarino, ma lo scriveva pure. Ho ancora delle sue traduzioni di scritti di Mao con tanto di dedica... Sicuramente avete capito il perché, guerra commerciale e di informazioni.
Non solo, al mio ritorno a Milano avevo in valigia una relazione riservata per una banca italiana, che ho personalmente consegnato nelle mani di un dirigente dell'Istituto, completamente diversa dalla versione che era stata fatta circolare apposta a Pechino perché fosse "visionata", con informazioni false.

I bambini:
Ricordo che mi avevo colpito la gran quantità di bambine e bambini, simpatici, giocosi ed affascinati da noi occidentali. I genitori cortesemente mi chiedevano di fare delle foto con me, orgogliosi di stare vicino ad un europeo. Alla zoo di Shanghai ricordo che mentre fotografavo i Panda giganti avevo sentito ridere fragorosamente dei bambini. Mi ero voltato e mi ero accorto che ridevano per me: avevo i pantaloni corti e le gambe pelose, assolutamente inconsueto per i cinesi.
Ebbene ho passato il pomeriggio ad essere fotografato con bambini vicino, davanti alla gabbia del Panda gigante che, credetemi, incrociando il mio sguardo aveva capito benissimo tutto.

I mercati:  Ho visto cose che voi umani…
Tralascio la crudeltà ed indifferenza delle stesse persone sorridenti che mi porgevano un fiore e che si trasformavano in sanguinari e sadici macellai per animali viventi di ogni sorta.
Gli animali vivi vengono uccisi e consumati sul posto o preparati per essere portati a casa. Sangue dappertutto, si scivola addirittura mentre si cammina…
La maggior parte delle epidemie degli ultimi anni si è sviluppata in Cina: dall'asiatica del 1957 all'influenza di Hong Kong del 1968, passando per la Sars (2002), H5N1 (2008) e per il nuovo Coronavirus Covid-19, sembra che questo paese sia particolarmente preso di mira dai virus.
Lo stretto contatto tra uomini e animali, che vengono tenuti in casa e nelle fattorie per essere allevati o mangiati, per non parlare di tutti quei mercati in cui vengono venduti animali vivi è certo la fonte principale delle infezioni. Nel 2008 con la famosa H5N1-Aviaria le autorità cinesi sono state costrette ad attuare una enorme strage di polli sin nelle case dei cittadini per cercare disperatamente di bloccare l'epidemia. Soprattutto i pipistrelli sono incubatori di molti di questi virus: Nipah, Hendra, Sars, Mers, Ebola ed il nuovo coronavirus.
Uno degli ultimi giorni a Pechino con il mio amico siamo andati in un famoso ristorante a cenare. Sapete quali erano le specialità per cui i borghesi cinesi andavano li a mangiare: pipistrello e topo oltre alla famosissima anatra laccata (noi abbiamo mangiato quella).
Credo che prima o poi qualcuno dovrà rendere conto di questa catastrofe mondiale, alla luce delle conoscenze acquisite. Il popolo cinese è magnifico, con una millenaria cultura ma sulle conseguenze di certe scelte alimentari ci sarebbe molto da dire anche perché se una volta mangiare topi, serpenti e pipistrelli era il segno della fame (ahimé) ora la Cina non è certo un paese arretrato ma capitalista ben più dei cosiddetti Paesi Occidentali.
P.S. Il mio amico a Pechino ha detto che i mercati vendono ancora le stesse povere bestie vive da macellare. E' però proibito fare fotografie, potrebbero urtare la suscettibilità di taluni!


Photo: sopra il mio nome in cinese, sotto.... traducete voi.

CLONIT : il primo test certificato per il Coronavirus

“CLONIT quanty COVID 19 CE-IVD” é un Kit Diagnostico marcato CE-IVD e completamente made in Italy, dalla ricerca e sviluppo alla produzione, per individuare in poco meno di due ore il virus che sta flagellando l’Italia.
I Kit Clonit possono essere utilizzati nei laboratori di analisi di ospedali pubblici e strutture private autorizzate.
Di Fabio Montobbio ©L'Innovatore
Photo : © L'innovatore





Diagnosi certa e in tempi rapidi. I clinici hanno trovato in CLONIT quanty COVID 19 CE-IVD uno strumento in grado di evidenziare in tempi record una diagnosi differenziale affidabile con la determinazione della “carica virale” così da indirizzare rapidamente alla terapia più adeguata, e poter seguire il follow up del paziente.
Con queste specificità Clonit ha effettuato la validazione del test in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano – nei Laboratori della Clinica Malattie Infettive-Ospedale Sacco- Prof. Massimo Galli e nel Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute – Laboratorio di riferimento per la sorveglianza delle infezioni respiratorie – Prof.ssa Elena Pariani ed ha annunciato che il test quanty COVID-19 CE-IVD viene reso disponibile ai laboratori degli ospedali centri di riferimento per la lotta all’epidemia sia in Italia che all’estero.
Società italiana biotech attiva dal 1987 nella ricerca e sviluppo di sistemi diagnostici di biologia molecolari e titolare di brevetti internazionali, Clonit ha, così, realizzato un kit diagnostico pronto all’uso che, per facilità di utilizzo e qualità operativa, è sviluppato per essere utilizzato sugli analizzatori già presenti nei laboratori di analisi degli ospedali e delle realtà private autorizzate: un contributo per decentralizzare l’analisi dei campioni biologici dei sospetti contagiati e accelerare le tempistiche di intervento nella gestione dell’epidemia.
“Questo è il nostro piccolo contributo al Paese Italia”, afferma il Dr. Carlo Roccio, Presidente di Clonit.

Come funziona
“Il procedimento è completo per analizzare un campione biologico prelevato con un tampone, si compone di due momenti: l’estrazione dell’RNA del virus e la sua amplificazione” spiega il Dr. Carlo Roccio. “L’iniziale procedura di estrazione dell’RNA del virus dal campione biologico esaminato è fondamentale per evitare falsi negativi e richiede meno di 60 minuti. Il successivo passaggio consiste nell’amplificazione che porta a scoprire la presenza e la quantità del virus.
La tempistica per effettuare le analisi con CLONIT quanty COVID 19, deve essere valutata sull’intero processo: con il nostro kit diagnostico in meno di due ore per l’intero procedimento un ospedale può effettuare nei suoi laboratori il test sui tamponi a sua disposizione. Ci teniamo a sottolineare che il Kit è stato realizzato secondo le linee guida del CDC, Centers for Disease Control and Prevention (www.cdc.gov/).
Abbiamo analizzato diverse regioni del genoma virale e studiato le sequenze virali al momento disponibili per realizzare un test affidabile e soprattutto utile al Clinico. Come sempre, quando avremo evidenza da parte degli Organismi di Controllo  (WHO) di eventuali mutazioni dei ceppi virali ci metteremo subito all’opera per ricalibrare il test in conformità ad essi”.
Il metodo molecolare denominato RT-PCR (Reazione a Catena della Polimerasi Tempo Reale) consente l’identificazione di agenti patogeni attraverso l’amplificazione del DNA o RNA dei microrganismi, è un esempio della nuova frontiera della diagnostica rapida e sicura. Attraverso le informazioni ottenute  con la Real Time PCR si può ricavare un dosaggio quantitativo del microrganismo per seguire l’evoluzione della terapia anti-virale e implicitamente il follow up del Paziente”.
l kit Clonit rispetta le linee guida raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) tra cui quelle tese a limitare l’impatto di mutazioni future del virus.
La standardizzazione dei processi di produzione, il rigoroso controllo sulle materie prime e sui prodotti finiti e i controlli incrociati in laboratori di riferimento esterni hanno reso Clonit in grado di ottenere i più alti standard di qualità: è certificata ISO 9001:2008 e ISO 13485:2003.


L’esperienza di Clonit nella gestione delle epidemie
La Società, che ha sede a Milano, ha sviluppato importanti test per diverse malattie infettive: nel 2001 è stata la prima a definire come identificare il bacillo dell’antrace e nel 2014 ha partecipato ad un progetto Europeo Horizon 2020 per la creazione di un test veloce e sensibile per il Virus Ebola, nel quale a rappresentare l’Italia c’erano l’Istituto Spallanzani, Emergency e Clonit.
Nel 2018 ha realizzato una soluzione, ancora oggi unica, per la diagnosi di West Nile Virus ed Usutu in multiplex. Nel 2019 ha messo a punto un test per identificare infezioni tropicali come Zika e, in piena emergenza Dengue, Clonit ha sviluppato in pochissimo tempo il kit per la sierotipizzazione in Real Time dei 4 ceppi, caratteristica fondamentale per la stratificazione dei pazienti e del rischio.
Di Fabio Montobbio ©L'Innovatore

Al link https://www.clonit.it/en/research-and-development/scientific-references-and-medical-publication/  alcune referenze scientifiche della società.

Guida anti-stress per i cittadini a casa

Opuscolo pubblicato dal Consiglio Nazionale Ordine Psicologi per tutti noi in quarantena a casa


Photo © CNOP


Clicca sul link sotto...


CORONAVIRUS: comunicare in presenza di bambini. Ci guardano, ci osservano e ci chiedono


immagine articolo CORONAVIRUS: comunicare in presenza di bambini. Ci guardano, ci osservano e ci chiedono
Video: Ordine Psicologi della Lombardia
In queste ore di continue informazioni e discussioni sul Coronavirus non dobbiamo dimenticare che il mondo dei nostri bambini si intreccia inevitabilmente con quello degli adulti.
È dunque dovere di tutti noi, non solo dei genitori, porre attenzione per rispettare e orientare chi ha meno strumenti per comprendere la complessità della situazione e rischia di subire un carico di ansie eccessive.

Come Ordine degli Psicologi della Lombardia, desideriamo offrire alcune riflessioni e indicazioni su come rivolgerci ai bambini:

- è importante dare un senso alla mobilitazione pubblica ma soprattutto a quelle modifiche che per loro sono importanti : la chiusura delle scuole, degli asili, l’impossibilità di recarsi in luoghi di svago a loro cari; - i bambini comprendono ciò che comunichiamo beneficiando di un linguaggio adeguato alla loro età ma soprattutto traggono informazioni dal nostro stato emotivo e dalla modalità con la quale trasmettiamo notizie. È quindi importante dare informazioni chiare e semplici senza agitarsi; non bisogna semplificare ma piuttosto si deve articolare con un linguaggio semplice e con esempi e soprattutto delle buone metafore;

- non usate percentuali e dati perché sappiamo bene che esistono distorsioni nella comprensione dei dati anche per gli adulti;

- educate i bambini alla corretta informazione e a seguire le istruzioni date dagli organi istituzionali;

- può essere utile spiegare loro che i medici e gli scienziati si stanno adoperando per trovare una cura ad una malattia nuova che è un po’ come l’influenza e che nell’attesa si possono godere qualche giorno di vacanza.

Ecco infine un simpatico video tratto da Biancaneve e i sette nani, che può aiutare a comunicare ai più piccoli l’importanza di lavarsi le mani

https://www.youtube.com/watch?v=NcbXqSR1LmA

Fonte: Ordine degli Psicologi della Lombardia 








COLLOQUI PSICOLOGICI GRATUITI SULL'EMERGENZA CORONAVIRUS, VIA SKYPE

Photo: Ordine Psicologi Lombardia

COLLOQUI PSICOLOGICI GRATUITI VIA SKYPE


In questo difficile momento, su indicazione del CNOP, Consiglio Nazionale Ordine Psicologi e dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia, offro la possibilità di un colloquio gratuito via Skype, in riferimento all'emergenza coronavirus. 

E' sufficiente inviare una mail a: massimofelici52@gmail.com per concordare giorno ed orario.

Skype: maxfelix52













Cari amici francesi...

E si, cari amici francesi, dopo avere preso in giro noi italiani, talvolta con garbo, talvolta in modo offensivo, ora fate anche voi i conti con il virus...
Premetto che desidero solo fare delle considerazioni antropologiche e psicologiche, senza toccare aspetti sanitari, politici ed economici, che molto meglio di me saranno espressi da autorevoli commentatori italiani e francesi.

Photo presa dalla Tv
Lunedi mattina, esco per fare un po' di spesa (latte, pane e verdura) nei piccoli negozi di prossimità dato che non amo i centri commerciali ed i supermercati. Oltretutto si può parlare con i titolari, condividere le preoccupazioni e (anche) sorridere. Ovviamente ad un metro di distanza.
Fin qui bene, le persone che incrocio sono silenziose, sembrano assorte ma tant'è.
Mi reco quindi in farmacia, sbarramento a tre metri dai banconi, fila composta di una decina di persone. Una signora con mascherina che deve uscire dalla farmacia, rabbiosamente fa spostare tutta la fila perché nessuno le sia troppo vicino quando varcherà la porta. Tutti noi ci scansiamo per farla passare, si ferma e dice qualcosa riferito agli italiani... Capisco che ci considera degli indisciplinati che se ne fregano delle regole. Mi scuso per gli italiani (chissà perché mi sento di rappresentarli), ma le dico che dopo avere fatto uscire di casa milioni di cittadini per votare domenica, è quantomeno bizzarro poi chiedere lunedi di restare a casa per fermare il virus!
Infatti. Questa è la cosa che più stupisce, nemmeno da noi i politici più attaccati alla poltrona (cadrega in milanese), avrebbero fatto una cosa del genere. Oltretutto per Macron questa forzatura si è rivelata poco premiante nelle città importanti, in termini di voti, vista la scarsissima affluenza (ma dai...). Ora si parla di rinviare i ballottaggi che dovrebbero tenersi domenica prossima. Ma no, propongo di fare il secondo turno domenica, in pieno picco dell'epidemia così ci ingrazieremo il virus che, preso da pietà per la umana stupidità, lungi dal dare il colpo di grazia, ci lascerà in pace.
Più seriamente sono molto dispiaciuto per i francesi (ed anche gli spagnoli, gli inglesi, ecc.) che pur avendo otto-dieci giorni di vantaggio sull'impennata dei casi di contagio, ed avendo ben chiaro cos'è accaduto in Italia, che ha una sanità di eccellenza e medici assai preparati, si sono lasciati prendere in contropiede.
Oggi al telegiornale delle 13 il Prof. Philippe Juvin, Chef du Service des Urgences dell'Hôpital Georges Pompidou di Parigi ha detto con chiarezza le stesse cose sentite dire dai nostri medici in prima linea in Italia: problemi per il triage, casi in vertiginosa crescita, mancanza di letti per i casi difficili soprattutto nelle rianimazioni, respiratori non sufficienti, bisogno urgente di creare spazi ulteriori per ricoveri di gran numero di pazienti.
Praticamente le stesse parole dei nostri sanitari, cui va il nostro ringraziamento affettuoso.
A giorni la Francia sarà come l'Italia, però con la consapevolezza che in alcuni giorni, anziché sottovalutare la situazione, avrebbero potuto (umilmente) darsi da fare per attrezzare e rinforzare strutture, assumere medici ed infermieri, dare norme forti e chiare di comportamento alla cittadinanza (e verificare il rispetto), bloccare il più possibile la circolazione delle persone e quindi, del virus.
Ma noi italiani siamo sempre un passo avanti alle disgrazie. E' secoli che ci facciamo i conti, nel bene e nel male. E allora ben vengano i concerti dalle finestre, che tutti noi abbiamo visto alla televisione, in svariate città italiane. L'ho proposto anche ai vicini italiani del nostro palazzo e, dato che siamo tutti milanesi di origine, dovremmo cantare "O mia bela Madunina",
Stiamo a casa tutti, contiamo sui bravi medici francesi che ora si stanno trovando anche loro in prima linea a combattere la violenta diffusione del virus, e... sulla fortuna.
Per pietà (antropologica) non ho commentato il raduno dei Puffi di pochi giorni fa e la festa dei supporter del PSG.





Vademecum psicologico coronavirus per i cittadini

Vademecum psicologico coronavirus per i cittadini – Perché le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate


Questo breve vademecum non vuole essere esaustivo né sostituirsi ad un aiuto professionale. E’ un contributo per riflettere ed orientare al meglio i nostri pensieri, emozioni e comportamenti – individuali e collettivi – di fronte al problema Covid-19. Pochi minuti del vostro tempo per una lettura che ci auguriamo possa esservi utile.

David Lazzari – Presidente CNOP – 26 febbraio 2020

La paura è un’emozione potente e utile.  E’ stata selezionata dall’evoluzione della specie umana per permettere di prevenire i pericoli ed è quindi funzionale a evitarli.
La paura funziona bene se è proporzionata ai pericoli. Così è stato fino a quando gli uomini avevano esperienza diretta dei pericoli e decidevano volontariamente se affrontarli oppure no.
Oggi molti pericoli non dipendono dalle nostre esperienze. Ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e sono ingigantiti dai messaggi che circolano sulla rete. Succede così che la paura diventi eccessiva rispetto ai rischi oggettivi derivanti dalla frequenza dei pericoli. In questi casi la paura si trasforma in panico e finisce per danneggiarci.
Facciamo un esempio: dopo l’11 settembre il panico degli statunitensi per il volo in aereo fu tale che molti decisero di spostarsi in macchina. Nel periodo successivo sulle strade morì il doppio delle persone rispetto a quelle che viaggiavano sugli aerei catturati e abbattuti dai terroristi. Il panico si era tradotto in scelte individuali controproducenti che, aggregate, divennero un danno collettivo.
Si ha più paura dei fenomeni sconosciuti, rari e nuovi, e la diffusione del Coronavirus ha proprio queste caratteristiche.
A tutt’oggi, i decessi per influenza non da Coronavirus sono molto più frequenti. Di questi però non si ha paura perché ci siamo abituati a tal punto che molti italiani ignorano addirittura i benefici, in chiave preventiva, dei vaccini. Si ripete la differenza tra la paura dei voli in aereo e la scelta volontaria e sotto il nostro controllo di guidare un’automobile.
Per evitare che le paure siano sproporzionate e creino forme di ansia individuale e di panico collettivo proponiamo di condividere un “decalogo antipanico”. Alcune “chiavi di lettura” che possono aiutarci ad evitare due errori possibili: sopravvalutare o sottovalutare (negare) il problema.

Decalogo anti-panico

1. Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo.
Il Coronavirus è un virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 hanno problemi più gravi e tra questi i decessi sono circa la metà ed in genere in soggetti portatori di altre importanti patologie.
2. Non confondere una causa unica con un danno collaterale.
Molti decessi non sono causati solo dall’azione del coronavirus, così come è successo e succede nelle forme influenzali che registrano decessi ben più numerosi.  Finora i decessi legati al coronavirus sono stimati nel mondo sono cento volte inferiori a quelli che si stima causi ogni anno la comune influenza. E tuttavia questo 1% si aggiunge ed è percepito in modo diverso dai “decessi normali”. Finora nessuno si preoccupava di una forte variabilità annuale perché tutti i decessi venivano attribuiti all’influenza “normale”: nell’ultima stagione influenzale sono scomparsi 34.200 statunitensi e, l’anno prima, 61.099.
3. Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi.
4. Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.
5. Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettive semplici, apparentemente banali ma molto efficaci (cfr. elenco qui sotto).
6. In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni.
7. E’ difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.
8. Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva.

La figura mostra nella parte superiore i pericoli di cui si ha più paura di quanta se ne dovrebbe avere. In questi casi l’indignazione pubblica può suscitare panico e, di conseguenza, ansie sproporzionate e dannose. Nella parte inferiore, al contrario, ci sono i pericoli a cui siamo abituati e che non provocano paure.
La sproporzione tra le aree dei due cerchi mostra quanta differenza c’è tra paure soggettive e pericoli oggettivi.
(Fonte: Paolo Legrenzi, A tu per tu con le nostre paure. Convivere con la vulnerabilità, Il Mulino, 2019).
9. La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: l’indignazione pubblica sui media accentua alcune paure, come quelle per gli attacchi terroristici e i criminali armati, e induce a sottovalutare altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati. Le caratteristiche del panico per coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica.
10. Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi.

Tre buone pratiche per affrontare il coronavirus

1. Evitare la ricerca compulsiva di informazioni.

Abbiamo visto che è normale e funzionale, in chiave preventiva, avere paura davanti ad un rischio nuovo, come l’epidemia da coronavirus: ansia per sé e i propri cari, ricerca di rassicurazioni, controllo continuo delle informazioni sono comportamenti comprensibili e frequenti in questi giorni. E tuttavia la paura si riduce se si riflette sul suo rapporto con i pericoli oggettivi e quindi si sa con chiarezza cosa succede e cosa fare.

2. Usare e diffondere fonti informative affidabili.

E’ bene attenersi a quanto conosciuto e documentabile. Quindi: basarsi SOLO su fonti informative ufficiali, aggiornate e accreditate.
Al Ministero della Salute, alla Protezione Civile, e al Sistema sanitario nazionale e regionale lavorano specialisti esperti che collaborano per affrontare con grande rigore, attenzione e con le risorse disponibili la situazione in corso e i suoi sviluppi.

3. Un fenomeno collettivo e non personale.

Il Coronavirus non è un fenomeno che ci riguarda individualmente. Come nel caso dei vaccini ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile. I media producono una informazione che può produrre effetti distorsivi perché focalizzata su notizie in rapida e inquietante sequenza sui singoli casi piuttosto che sui dati complessivi e oggettivi del fenomeno. E’ importante tener conto di questo effetto.

Dopo i pensieri e le emozioni, i comportamenti

L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale.
Eccole qui riassunte:
  • Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
  • Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione.
  • Bisogna lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi, fino ai polsi. Se acqua e sapone non sono a portata di mano, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 60% di alcol.
  • Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate.
  • Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci; usa fazzoletti monouso.
  • Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
  • Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
  • Contatta il numero verde 1500 se sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni e hai febbre o tosse.
  • Se stai male e hai sintomi compatibili con il Coronavirus, contatta telefonicamente il tuo medico di base o il 118, senza recarti direttamente in ambulatorio o in Pronto Soccorso (per ridurre eventuali rischi di contagio a terzi o al personale sanitario).
  • Rispetta rigorosamente solo i provvedimenti e indicazioni ufficiali delle Autorità di Sanità Pubblica: sono una tutela preziosa per te e per tutti.
L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta.

A chi si deve badare nella marea delle notizie

E’ stata chiamata “infodemia” il contagio e la diffusione delle notizie: guardando la tv, aprendo i giornali o andando in rete si viene sommersi da una marea di informazioni di ogni tipo sul Coronavirus: veri esperti e finti esperti, specialisti improvvisati, persone che riportano il “sentito” dire o il “sentito” letto. In questo campo ragionare con il “buonsenso” porta a conclusioni spesso errate.
Va bloccato o ignorato uno stato di “allarme psicologico permanente” che si traduce in “indignazione pubblica”. Si tende così a aumentare la percezione dei rischi e siamo spinti a cercare ossessivamente informazioni più rassicuranti. I media però sono fatti per attirare l’attenzione e ci espongono per lo più a cronache allarmanti facendo cresce la sproporzione tra pericoli oggettivi e paure personali.
Conclusione: riduci la sovraesposizione alle informazioni dei media. Le semplici informazioni sopra riportate sono sufficienti. Una volta acquisite le informazioni di base su che cosa succede e che cosa fare, è sufficiente verificare gli aggiornamenti sulle fonti affidabili sopra indicate.
Si hanno così tutte le informazioni necessarie per proteggersi, senza farsi sommergere da un flusso ininterrotto di “allarmi ansiogeni”. E’ bene proteggere anche i bambini. Se ci interrogano, daremo sempre la nostra disponibilità a parlare serenamente di quello che possono aver sentito e li spaventa correggendo un quadro statisticamente infondato.
E’ meglio non esporli alle informazioni allarmistiche di cui sopra.

Agisci collettivamente per un fenomeno collettivo

Anche se tu ti sei fatto un’idea corretta del fenomeno e non provi alcuna paura infondata, è bene cercare di aiutare gli altri raccontando in parole semplici il nostro decalogo e le raccomandazioni qui elencate.
Devi supplire cioè all’indignazione e panico pubblici suscitati da molti canali media e social fornendo le semplici informazioni sopra indicate e ragionando con calma e pazienza invece di ignorare o, peggio, disprezzare chi non sa e si rifiuta di pensare.
Bisogna ricordarsi delle parole di Alessandro Manzoni in relazione alla peste di Milano del Seicento: “Il buon senso se ne stava nascosto per paura del senso comune”.
Andiamo a scalzare il senso comune ma non con il buon senso di Manzoni ma con la scienza e la razionalità. La psicologia permette di capire in modo razionale anche quel che non si presenta come tale ma che va capito e rispettato.
Agire tutti in modo informato e responsabile e aiutarsi reciprocamente a farlo, aumenta la capacità di protezione della collettività e di ciascuno di noi.

Non ti vergognare di chiedere aiuto

Se pensi che la tua paura ed ansia siano eccessive e ti creano disagio non avere timore di parlarne e di chiedere aiuto ad un professionista.  Gli Psicologi conoscono questi problemi e possono aiutarti in modo competente.
Tutti possiamo avere necessità, in certi momenti o situazioni, di un confronto, una consulenza, un sostegno, anche solo per avere le idee più chiare su ciò che proviamo e gestire meglio le nostre emozioni, e questo non ci deve far sentire “deboli”.
Non è debole chi chiede aiuto per aumentare le proprie risorse e quelle dei suoi cari.

(Ringraziamo il Prof. Paolo Legrenzi, docente emerito di psicologia all’università Ca’ Foscari di Venezia ed esperto di psicologia delle emozioni e delle decisioni, per la collaborazione).

L'amore ai tempi del coronavirus


Photo: Corriere Romagna
Prendo spunto dalle parole di Marco Casa che, giustamente, ci ricorda che siamo bersagliati da una marea di informazioni da parte di addetti ai lavori: medici, virologi, epidemiologi, veterinari (che la sanno lunga sui coronavirus), per finire ai politici di ogni "ordine e grado". Politici che, a mio avviso, hanno fatto più danni che altro, taluni per ingenuità, altri solo per mettersi in mostra...
Di fatto quando avvengono fenomeni di grande portata come gli attacchi terroristici, i terremoti o le epidemie, si parla di isteria collettiva, psicosi, reazioni abnormi ed ingiustificate. Vero è che alla sovrabbondanza di "informazioni", dibattiti, approfondimenti, notizie aggiornate ogni minuto, non corrisponde dal punto di vista emotivo una altrettanto netta consapevolezza e percezione del rischio nei confronti dell'evento che ci colpisce.
Possiamo sapere tutto sui numeri del coronavirus nel mondo, seguire telegiornali di vari paesi ma... ritrovarci ad essere ancora più spaventati ed angosciati.
Questo perché la percezione oggettiva di un evento non coincide quasi mai con la percezione soggettiva, quindi emotiva dell'evento stesso.
Classico esempio è dato dal volare: tutti sappiamo (ed i numeri lo confermano) che è molto più pericoloso viaggiare in auto che in aereo, però moltissime persone viaggiano in auto e mai salirebbero su un aereo.
Il dato oggettivo è come un disegno in bianco e nero, lo vediamo bene però sembra bi-dimensionale. Lo stesso disegno a colori acquista profondità di campo e spessore ed è ciò che percepiamo tramite le nostre emozioni.
Nella nostra mente abbiamo depositate "immagini" che però sono strettamente connesse a delle emozioni relative, ad esempio, alle nostre esperienze e ad episodi del passato vissuti in prima persona o riportati da altri. La stretta connessione immagine-emozione ci serve come archivio per tentare di leggere la realtà che dobbiamo affrontare, talvolta in modo improvviso e non atteso.  
Tutto ciò vale anche per la percezione di un qualunque rischio, dal volare, viaggiare in auto, fare del paracadutismo, buttarsi dal ponte con l'elastico.
Ad esempio: correre in auto o moto è rischiosissimo, ma è associato ad adrenalina pura, una forma di sfida temeraria dell'uomo e quindi connotata positivamente. 
Il virus, parola latina che significa veleno, non è connotato positivamente, di virus si muore e poi non si vede che diavolo è. Veniamo martellati dal fatto che l'influenza ha ucciso ed uccide molte più persone del coronavirus, dati noti e incontrovertibili ma... Attenzione alle parole: ci si ammala di influenza ma si viene contagiati dal virus. Ammalarsi è una cosa, essere contagiati ci appare molto più pericoloso ed angoscioso. Sempre di virus si tratta ma la percezione del rischio non è la stessa. 
Pensate anche al potere dei mass-media, più parlano di un evento più lo percepiamo attuale, incombente e, nel caso del coronavirus, angoscioso e che ci vede quasi impotenti.
Esperienza personale: mercoledi scorso sono stato a Ventimiglia per delle pratiche tra banca e posta. Treno in arrivo a Ventimiglia quasi deserto ed i negozi, di solito affollati dai nostri amici francesi, quasi vuoti. Una desolazione. Ad un certo punto in una stradina vedo un'assembramento di persone, incuriosito vado a vedere. Ebbene la coda di francesi sin dalla strada era per la tabaccheria, per l'acquisto di stecche di sigarette... 
La voglia di fumare è tale che il tabacco è più forte della paura del coronavirus!

In conclusione: inutile fare gli spavaldi e negare il rischio, occorre prendere semplici precauzioni, seguire con attenzione l'evolversi della situazione ed agire di conseguenza. Ci sentiamo spesso onnipotenti psicologicamente e confidiamo nella scienza e nella tecnica.  Ebbene questi eventi ci fanno sentire piccoli e indifesi di fronte a qualcosa che non vediamo e sentiamo. Un attacco al nostro narcisismo che però potrebbe aiutarci a ritrovare una sana umiltà ed umanità.